All’inizio
le nostre relazioni affettive sono un misto di questi due sentimenti, e noi li
confondiamo. L’amore è ambiguo: può essere l’espressione di una grande virtù o
di un grande egoismo. Il problema è che abbiamo un’unica parola per indicare
stati d’animo ben differenti. Nel buddhismo per esempio non si parla di amore
ma di benevolenza. Che cos’è la benevolenza? È desiderare il bene dell’altro.
Il
nostro amore, invece, è tutto centrato sul nostro
benessere, sulla nostra felicità. È
questo che indica il nostro
attaccamento.
Desiderare
il bene di un altro è diverso dal desiderare il proprio. Il primo è vero amore,
il secondo è egoismo. Come potrebbe una persona che ama veramente uccidere o
punire l’altro quando l’altro lo tradisce e lo abbandona? È chiaro che qui è in
azione l’attaccamento egoistico, non l’amore.
Fate
questa prova. Non è difficile desiderare il benessere per una persona cara, ma
provate a immaginare che vi lasci. Come reagireste? Desiderereste ancora il suo
bene o le augurereste un accidente?
Eppure, se si vuol superare l’attaccamento, bisogna seguire questa via. Potreste pensare
che l’altro possa avere una vita autonoma e felice senza di voi? Un genitore
dovrebbe farlo (non tutti; qualcuno è così egoista che vorrebbe che i figli non
si staccassero mai da lui). Ma un amante?
Eppure
è questa la dimostrazione finale del vero amore, depurato dell’attaccamento.
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