Nei tempi antichi, la brevità della vita,
l’alta mortalità infantile, insomma la precarietà dell’esistenza, portò
inevitabilmente a pensare che Dio potesse in ogni momento chiedere un
sacrificio.
Dio era dunque il grande sacrificatore. E il
sacro coincideva essenzialmente con il sacrificio. Da qui nacque il
cristianesimo come religione in cui Dio sacrifica addirittura se stesso.
Nell’antichità era ben presente la terribilità
di Dio, la sua ferocia. Dio ti poteva chiedere in ogni momento di sacrificare
te stesso, tuo figlio o semplicemente un animale. Che cos’era il tempio di
Gerusalemme ai tempi di Gesù se non un grande mattatoio, dove si sacrificavano
animali per chiedere grazie a Dio?
Dio era considerato una specie di dea Kalì, la
divinità induista che si nutre di sangue.
Gesù cercò di ribellarsi a questa concezione.
“Dio non vuole sacrifici, ma amore” diceva. Però, ironia della storia, fu
considerato lui stesso un “agnello sacrificale”.
Nonostante questo, oggi Dio viene pensato come
una specie di super-tranquillante. Siamo passati dal Dio sanguinario e spietato
al Dio dell’amore e della bontà.
Ma entrambi questi aspetti, benefici e
malefici, appartengono a Dio, cioè alla realtà – non dimentichiamocelo mai.
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