L’unica preghiera che Gesù consigli è quella
del “Padre nostro,” che incomincia così: “Padre nostro che sei nei cieli…” Questa espressione “nei
cieli” e l’idea stessa di “Padre” creano una distanza fra l’uomo e Dio e fanno
credere che Dio stia in qualche posto speciale, lassù in alto. Dunque, chi
prega si pone nella condizione di un uomo che prega un altro essere, distinto
da lui.
Nella meditazione è il contrario. Per esempio,
il Buddha dice: “Prendete rifugio nel sé, prendete rifugio nel dharma, non
prendete rifugio in null’altro. Ora, il sé non è una divinità posta “nei
cieli”, ma il nostro essere più profondo.
Nella preghiera, dunque, si prega un’altra
“persona” perché esaudisca i nostri desideri; e si cerca di colmare una distanza,
che in realtà non potrà mai essere colmata, perché Dio resta il Padre, mentre
tu rimani, se va bene, un figlio.
Nella meditazione, il sé non è un’altra
persona, ma quella parte universale di te che si trova dentro di te. Qui non c’è
da colmare una distanza fra persone diverse, tra un “io” e un “altro”, ma tra
un io e se stesso. Qui c’è da cancellare una separazione costruita all’interno
dello stesso essere.
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