Un’altra diade fondamentale è quella di soggetto/oggetto, ovvero di conoscente/conosciuto a livello di coscienza. Perché la coscienza non è altro che questo: rendersi conto di se stessi, e quindi essere due poli in uno. Questo “essere due in uno” è esattamente la definizione di diade, complicata dal fatto che stavolta non è solo quello che vediamo, ma anche ciò che siamo. Noi siamo una diade che si vede come diade.
A livello
esterno, tutto è semplice: ci mettiamo di fronte a uno specchio e diciamo:
quello sono io! Ma, a livello interno, non si tratta di vedere, piuttosto di
percepire con un senso interno. In effetti, per la filosofia orientale, la
coscienza è solo un senso, il sesto senso. Ma è un senso un po’ strano: non
percepisci qualcosa di esterno – un colore, un suono, una forma ecc. No,
percepisci te stesso internamente. Che non è più una forma, ma una sensazione,
E, come
tutte le percezioni, anche questa può essere variabile e fallace. Non solo: se
è una sensazione, ci deve essere un soggetto che percepisce e un oggetto che è
percepito. Ma come è possibile, se è il soggetto che percepisce?
Esaminate
la parola stessa: co-scienza.
L'etimologia della parola
"coscienza" è davvero interessante. Deriva dal latino
"conscientia", che è una combinazione di "con-" (insieme) e
"scientia" (conoscenza). Quindi, in un certo senso,
"coscienza" può essere interpretata come "conoscenza
condivisa" o "conoscenza congiunta".
Ma congiunta con che cosa? Forse c’è l'idea
che la coscienza non sia solo una consapevolezza individuale, ma anche una
comprensione che può essere condivisa con altri?
Mi sembra
strano. La mia coscienza, del tutto personale e intima, dovrebbe essere condivisa
con altri? Com’è possibile? Semmai, è il contrario: è ciò che non è condiviso
con gli altri, è solo mia.
E allora questa
con-scientia con chi è condivisa?
Non può
essere altro che me stesso: la coscienza è condivisa con l’altro me stesso.
Perché in effetti noi siamo due.
Dunque, la
coscienza è la conoscenza che il soggetto 1 condivide con il soggetto 2 – due soggetti
che però sono uno. È come se avessimo in noi due soggetti che, essendo leggermente
distinti, devono andare un po’ in accordo e un po’ in disaccordo. Perché, se
fossero perfettamente d’accordo, coinciderebbero e non sarebbero due.
Questa
leggera distinzione crea un certo dualismo, altrimenti non potrei essere
cosciente. La coscienza è uno sdoppiamento.
Nella
percezione ci deve essere questo sdoppiamento, questo dualismo, questa
differenza, altrimenti tutte le cose coinciderebbero e sarebbero uno. Ma qui lo
sdoppiamento non è tra un soggetto che percepisce e un oggetto altro. No, è tra
il soggetto che percepisce e il soggetto-oggetto che è percepito.
I due
poli, però, non sono separati, ma uniti - solo leggermente distinti. Sono come
due gemelli siamesi che hanno due teste e un unico corpo. Loro sì che sono
con-scienti.
Tutti gli
animali devono essere coscienti, almeno di sé in rapporto all’ambiente. Se no,
non sopravvivrebbero. Ma pare che solo l’uomo sia consapevole di essere cosciente. Però questo che significa? Da dove salta fuori questa consapevolezza? È forse un
dono divino?
No,
lasciamo stare Dio, che ha già i suoi problemi.
Allora
deve essere il frutto di un’evoluzione, non so se positiva o negativa. Perché,
diciamo la verità, la consapevolezza potrebbe anche essere una degenerazione
della semplice coscienza degli altri animali, che infatti ci porta a compiere
atrocità inimmaginabili, che gli altri animali non si sognerebbero neppure.
Insomma, la consapevolezza è come l’energia atomica: ci può dare energia ma ci
può anche distruggere.
La
consapevolezza di essere coscienti, spesso chiamata "meta-coscienza"
o "auto-consapevolezza", è una caratteristica che distingue gli
esseri umani da molti altri animali. Significa che non solo siamo coscienti
delle nostre esperienze e percezioni, ma siamo anche consapevoli di questa
coscienza stessa. In altre parole, possiamo riflettere sui nostri pensieri,
emozioni e stati mentali.
Questa
capacità di auto-riflessione è alla base di molte delle nostre abilità
cognitive avanzate, come la pianificazione a lungo termine, la comprensione
delle intenzioni altrui e la capacità di immaginare scenari futuri. È anche
strettamente legata alla nostra capacità di sviluppare una morale e un senso di
identità personale. E anche alla nostra innata distruttività.
La
consapevolezza di essere coscienti ci permette di esaminare e modificare il
nostro comportamento in base a valori e obiettivi personali, rendendoci capaci
di crescita personale e adattamento in modi che vanno oltre le risposte
istintive. Ma non è dotata di per sé di senso morale: anzi, può portarci
completamente fuori strada.
Come
spiegate che l’uomo possa arrivare a distruggere gli altri e se stesso e tutto
il mondo?
Potrebbe
anche essere il segno di una pazzia, di una alienazione mentale. Non diceva
Nietzshe che l’uomo è un “animale malato”? E, aggiungo io, malato di mente?
Attenti,
allora: la consapevolezza può anche distruggerci. Non è né buona né cattiva. È
sempre una diade, pericolosa, da maneggiare con cura.
Ciò detto
contro gli ottimisti ben pensanti, ritorniamo al nucleo del fenomeno. Che va
esaminato da vicino.
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