mercoledì 30 ottobre 2024

Quella stranezza della coscienza

 Un’altra diade fondamentale è quella di soggetto/oggetto, ovvero di conoscente/conosciuto a livello di coscienza. Perché la coscienza non è altro che questo: rendersi conto di se stessi, e quindi essere due poli in uno. Questo “essere due in uno” è esattamente la definizione di diade, complicata dal fatto che stavolta non è solo quello che vediamo, ma anche ciò che siamo. Noi siamo una diade che si vede come diade.

A livello esterno, tutto è semplice: ci mettiamo di fronte a uno specchio e diciamo: quello sono io! Ma, a livello interno, non si tratta di vedere, piuttosto di percepire con un senso interno. In effetti, per la filosofia orientale, la coscienza è solo un senso, il sesto senso. Ma è un senso un po’ strano: non percepisci qualcosa di esterno – un colore, un suono, una forma ecc. No, percepisci te stesso internamente. Che non è più una forma, ma una sensazione,

E, come tutte le percezioni, anche questa può essere variabile e fallace. Non solo: se è una sensazione, ci deve essere un soggetto che percepisce e un oggetto che è percepito. Ma come è possibile, se è il soggetto che percepisce?

Esaminate la parola stessa: co-scienza.

L'etimologia della parola "coscienza" è davvero interessante. Deriva dal latino "conscientia", che è una combinazione di "con-" (insieme) e "scientia" (conoscenza). Quindi, in un certo senso, "coscienza" può essere interpretata come "conoscenza condivisa" o "conoscenza congiunta".

Ma congiunta con che cosa? Forse c’è l'idea che la coscienza non sia solo una consapevolezza individuale, ma anche una comprensione che può essere condivisa con altri?

Mi sembra strano. La mia coscienza, del tutto personale e intima, dovrebbe essere condivisa con altri? Com’è possibile? Semmai, è il contrario: è ciò che non è condiviso con gli altri, è solo mia.

E allora questa con-scientia con chi è condivisa?

Non può essere altro che me stesso: la coscienza è condivisa con l’altro me stesso. Perché in effetti noi siamo due.

Dunque, la coscienza è la conoscenza che il soggetto 1 condivide con il soggetto 2 – due soggetti che però sono uno. È come se avessimo in noi due soggetti che, essendo leggermente distinti, devono andare un po’ in accordo e un po’ in disaccordo. Perché, se fossero perfettamente d’accordo, coinciderebbero e non sarebbero due.

Questa leggera distinzione crea un certo dualismo, altrimenti non potrei essere cosciente. La coscienza è uno sdoppiamento.

Nella percezione ci deve essere questo sdoppiamento, questo dualismo, questa differenza, altrimenti tutte le cose coinciderebbero e sarebbero uno. Ma qui lo sdoppiamento non è tra un soggetto che percepisce e un oggetto altro. No, è tra il soggetto che percepisce e il soggetto-oggetto che è percepito.

I due poli, però, non sono separati, ma uniti - solo leggermente distinti. Sono come due gemelli siamesi che hanno due teste e un unico corpo. Loro sì che sono con-scienti.

Tutti gli animali devono essere coscienti, almeno di sé in rapporto all’ambiente. Se no, non sopravvivrebbero. Ma pare che solo l’uomo sia consapevole di essere cosciente. Però questo che significa? Da dove salta fuori questa consapevolezza? È forse un dono divino?

No, lasciamo stare Dio, che ha già i suoi problemi.

Allora deve essere il frutto di un’evoluzione, non so se positiva o negativa. Perché, diciamo la verità, la consapevolezza potrebbe anche essere una degenerazione della semplice coscienza degli altri animali, che infatti ci porta a compiere atrocità inimmaginabili, che gli altri animali non si sognerebbero neppure. Insomma, la consapevolezza è come l’energia atomica: ci può dare energia ma ci può anche distruggere.

La consapevolezza di essere coscienti, spesso chiamata "meta-coscienza" o "auto-consapevolezza", è una caratteristica che distingue gli esseri umani da molti altri animali. Significa che non solo siamo coscienti delle nostre esperienze e percezioni, ma siamo anche consapevoli di questa coscienza stessa. In altre parole, possiamo riflettere sui nostri pensieri, emozioni e stati mentali.

Questa capacità di auto-riflessione è alla base di molte delle nostre abilità cognitive avanzate, come la pianificazione a lungo termine, la comprensione delle intenzioni altrui e la capacità di immaginare scenari futuri. È anche strettamente legata alla nostra capacità di sviluppare una morale e un senso di identità personale. E anche alla nostra innata distruttività.

La consapevolezza di essere coscienti ci permette di esaminare e modificare il nostro comportamento in base a valori e obiettivi personali, rendendoci capaci di crescita personale e adattamento in modi che vanno oltre le risposte istintive. Ma non è dotata di per sé di senso morale: anzi, può portarci completamente fuori strada.

Come spiegate che l’uomo possa arrivare a distruggere gli altri e se stesso e tutto il mondo?

Potrebbe anche essere il segno di una pazzia, di una alienazione mentale. Non diceva Nietzshe che l’uomo è un “animale malato”? E, aggiungo io, malato di mente?

Attenti, allora: la consapevolezza può anche distruggerci. Non è né buona né cattiva. È sempre una diade, pericolosa, da maneggiare con cura.

Ciò detto contro gli ottimisti ben pensanti, ritorniamo al nucleo del fenomeno. Che va esaminato da vicino.

 

 

 

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