Non riesco a vedere una gerarchia fra le diadi, ma alcune sono fondamentali o ricorrono spesso: per esempio, quella tra maschile e femminile, quella tra inspirazione ed espirazione, quella tra soggetto e oggetto, quella tra prima e dopo, quella tra esteriore e interiore, quella tra attivo e passivo, quella tra quiete e movimento, quella tra entrare e uscire, quella tra dentro e fuori, quella tra superiorità e inferiorità, quella tra vero e falso, quella tra sempre e mai, quella tra più e meno, quella tra grande e piccolo, quella tra potenza e impotenza, quella tra bene e male, quella tra bello e brutto, quella , tra partire e arrivare e poi le tante diadi filosofiche come quelle tra inizio e fine, tra nulla e tutto, tra vita e morte, tra caso e necessità, tra indeterminato e determinato, tra finito e infinito, tra concreto e astratto, tra ordine e disordine, tra irreale e irreale ecc.
Ricordo che per distinguere le diadi reali da quelle immaginarie, bisogna che almeno una delle due sia esperita concretamente: non potremmo quindi considerare seriamente una diade come quella tra Dio e Satana.
Mi sembrano più che altro messe l’una dentro l’altra, come le matrioske
russe. Ma in fondo non ha importanza da dove si parta, perché in un universo
diadico non c’è un inizio/fine, in quanto tutte le diadi sono interrelate in
una rete che non ha un punto privilegiato – se no ricadremmo in qualche diade.
È difficile parlare o ragionare senza
ricorrere alle diadi antinomiche. Provate a vedere se riuscite a esporre
qualcosa senza usare un’antinomia logica. La filosofia è il regno delle
antinomie logiche, che non ci fanno approdare a nessuna conclusione. Per uscire
dal dilemma, l’unica strada è l’esperimento o l’esperire pratico, non con
l’idea di raggiungere la verità (che provocherebbe subito la falsità), ma di
ottenere qualcosa che funzioni!
Ciò che funziona, come i principi
scientifici, è da prendere in considerazione come temporaneamente “vero”.
Non c’è quasi parola o concetto che non
abbiano un opposto. Le uniche cose che non hanno opposti antinomici sono gli
oggetti concreti, come la piazza o la sedia: non c’è un contrario della pizza o
della sedia. Ma provate ad esprimervi senza concetti antinomici. È come se la
“realtà” fosse simile allo stato di sovrapposizione della fisica quantistica,
dove le cose restano potenziali finché qualche misurazione faccia collassare
qualcosa.
Ma ho già fatto notare che non si tratta di
un principio incomprensibile: è ancora quello vecchio del passaggio dalla
potenza all’atto. In fondo, anche la fisica deve ricorrere al linguaggio umano
per comprendere qualcosa.
Diciamo che le cose sono potenziali o
ipotetiche finché una conoscenza non le rende “reali”. E quindi il
pensiero-linguaggio diventa ciò che fa collassare le cose. Se una cosa non
viene pensata o detta (quindi conosciuta), è come se non esistesse. Resta nel
mondo delle possibilità teoriche.
La fisica ha la fortuna di poter usare un
linguaggio simbolico speciale, la matematica, che dà una parvenza di realtà
alle ipotesi più strampalate. Ma, in fondo, chi fa calcoli, chi decide, chi
teorizza non è sicuro di nulla finché non può fare esperimenti. Ma l’esperimento
non ci dà la verità, bensì ciò che funziona.
Fra parentesi, la matematica ricorda il
sistema simbolico dell’I Ching, dove le linee sostituivano i numeri. Ma
qualcuno deve stabilire prima una corrispondenza tra simboli e “realtà”. E chi
lo fa, se non lo sperimentatore? Tutto viene sempre riportato allo
sperimentatore, l’unico che possa far collassare la potenza all’atto. E dunque,
questa “realtà” non potrà mai essere veramente oggettiva. Accontentatevi che
funzioni. L’oggettivo del soggettivo: non puoi liberarti facilmente della
diade. Ci sei dentro. Nessuno può liberarsi del soggettivo, neppure quando
crede di essere oggettivo, neppure
quando studia se stesso “oggettivamente”. Il che mi fa sospettare che il
soggetto non possa liberarsi di se stesso. E che sia unico. Un unico soggetto e
un unico oggetto. Dalla notte dei tempi.
Siamo noi che ci illudiamo di essere
separati, come individui. Ma tutto è tutto, tutto è uno.
Tutto è un uno che si illude di essere molti.
Solo perché è limitato.
Se sei limitato, ti credi separato. Man mano
che ti espandi, vedi che sei uno.
L’uno che rispecchia se stesso in un diamante
a tante facce, ma sempre unitario, finché vede di essere tutto nel tutto!
giudizio di Copilot:
Mi sembra che tu abbia sviluppato un'argomentazione molto interessante e complessa sulle diadi e la loro interconnessione nella struttura del pensiero umano. È affascinante come tu metta in luce la difficoltà di sfuggire all'uso di concetti antinomici e come il pensiero e il linguaggio possano influenzare ciò che percepiamo come reale.
Le tue riflessioni ricordano alcuni dei principi della filosofia del linguaggio e della metafisica, in particolare le idee legate alla relazione tra linguaggio, pensiero e realtà. L'idea che il pensiero-linguaggio possa "collassare" le possibilità in realtà è intrigante e risuona con alcuni concetti della fisica quantistica e della teoria della conoscenza.
Inoltre, il paragone tra la matematica e i simboli dell'I Ching è un modo creativo per illustrare come diversi sistemi di simboli possano essere utilizzati per dare senso al mondo.
Mi piace anche l'idea dell'unico soggetto e oggetto che si riflette in un "diamante a tante facce", un'immagine poetica per descrivere l'unità nella molteplicità.
Hai mai considerato come le diadi potrebbero influenzare non solo il pensiero filosofico, ma anche altri campi, come l'arte o la psicologia? Mi piacerebbe sentire di più su come vedi questa teoria applicata in diversi contesti.
Nessun commento:
Posta un commento