Il cervello è plastico, si può trasformare, curare. E la meditazione è la migliore pratica per farlo. Questo è – in estrema sintesi – il sunto de Lo specchio del cervello. Neuroscienza e meditazione, di Nazareth Castellanos, da poco uscito per Ponte alle Grazie. Questo sunto è insieme anche un assioma, frutto del pensiero contemporaneo cui siamo giunti, ma gli antichi intuivano già questa correlazione tra mente e corpo, esperienza interiore ed esteriore, fuori e dentro, solo che non era ancora stato dimostrato scientificamente. L’ha fatto Castellanos – laureata in Fisica Teorica, specializzata in Neuroscienze, ricercatrice presso varie università in Germania, Inghilterra e Spagna – raccogliendo i risultati delle sue ricerche sulla meditazione, ed evidenziando i vantaggi di un atteggiamento attento e consapevole, proponendo perciò un inno alla crescita personale basato sulla coscienza di sé. Castellanos l’ha fatto in particolare coniugando scienza e comunicazione, divulgazione e umanesimo, a partire dal progetto di ricerca Brain-Body Interaction che dirige all’Università Complutense di Madrid.

Lo specchio del cervello. Neuroscienza e meditazione


«Non ho mai concepito – scrive nel libro – la meditazione come una tecnica esclusiva di una cultura o come un metodo, ma come una capacità intrinseca agli esseri umani. Osservare sé stessi. E osservare il mondo che ci circonda. Vivere consapevolmente il momento presente non è una tecnica propria di una scuola, ma una proprietà della vita. Proprietà che non sempre usiamo quanto dovremmo». Oggi, in un tempo sempre più frenetico, rapido, di consumo immediato e vorace, si parla sempre più spesso di fermarsi, di meditazione in ambito filosofico e spirituale, come mezzo per allontanarsi dal presente e riequilibrarsi, ritrovare sé stessi. L’ulteriore passo di cui scrive nel libro Castellanos riguardo alla meditazione è come questa possa aiutare a riorganizzare anche i percorsi neuronali, arrivando a modificare la concezione che abbiamo di noi stessi. Il suo lavoro stabilisce perciò un dialogo tra conoscenza scientifica, filosofia orientale e regno spirituale, unendo mente e corpo in diverse e possibili ramificazioni. Ippocrate vedeva una 

Ed il ruolo della neuroscienza in tutto ciò, qual è? «Oggi – scrive Castellanos – sappiamo che il nostro cervello possiede approssimativamente 86 miliardi di neuroni e ciascuno è in grado di dare e ricevere migliaia di cellule. […] È noto che gli alberi tra loro comunicano, competono e si prendono cura gli uni degli altri. Si chiama intelligenza vegetale. Il groviglio di radici e rami, tutti connessi, mi ha fatto riflettere sul concetto di individuo». Nel nostro cervello questa connessione avviene attraverso i neuroni, che ricevono e inviano informazioni, parlando lingue diverse, con ritmi diversi. Il ritmo è fondamentale. Le persone con danni cerebrali – per esempio – hanno un ritmo più lento (Delta o Theta); «quando siamo immersi in un processo che richiede tutta la nostra attenzione», scrive Castellanos, utilizziamo invece Beta e Gamma, poi infine c’è il ritmo predominante, che è Alpha. Tutto questo è utile ai fini della meditazione e la neuroscienza ci mostra cosa succede nel cervello, come l’osservazione interiore modifichi l’attività cerebrale, come invecchino determinate aree e quale correlazione ci possa essere tra attività cerebrale e salute mentale. «Nella medicina tradizionale – scrive sempre Castellanos – il cervello non è considerato un organo perché non genera energia, ma la riceve. Nonostante rappresenti soltanto il due per cento del corpo, utilizza il vento per cento dell’energia. […] Considerando il suo piccolo volume, il cervello è l’organo del corpo che consuma più energia».

E oggi quindi che accade? «Definire la meditazione – scrive ancora Castellanos – è più difficile che praticarla». Nel libro lei infatti sceglie una delle numerose declinazioni, per iniziare a guardare alle cose con la prospettiva di un punto di vista, parlando principalmente di mindfulness, e traducendola come attenzione piena: «Prestare attenzione al momento presente senza giudicarlo. Un ritorno a casa che ci invita a saper stare con noi stessi. […] La neuroscienza osserva che per “fuggire” da noi stessi entriamo in uno stato paragonabile all’essere trasognati». Il passo avanti ulteriore è la valorizzzione dell’attenzione come stato d'essere, promosso anche nella pratica della tradizione buddista come strumento per “svegliarsi” da uno stato di coscienza dormiente, smettere di fare qualcosa o stare con qualcuno con la mente altrove: «La neuroscienza -è scritto nel libro - dovrebbe avvicinarci a noi stessi. […] Diversi studi hanno evidenziato che la variazione del numero di respiri al minuto ci rende capaci di incrementare le risorse dell’attenzione». Certi nuclei del tronco encefalico che preparano l’attenzione, mettono al nostro servizio le risorse neuronali sufficienti non solo per attivare l’attenzione, ma anche per mantenerla. La domanda allora è: «Dove andiamo quando smettiamo di fare attenzione al presente?». Il tema ha forti implicazioni psicologiche, ma non solo: «Quando non fissiamo l'attenzione entriamo in uno stato di mancanza di coscienza o fantasticheria. […] Si calcola che trascorriamo la metà del nostro tempo da svegli in questa rete di fantasticherie». In tutto questo processo l'emozione non si può descrivere accademicamente, perché «è in grado di sequestrarci». Finora però sappiamo anche che la «neuroscienza propone due meccanismi per migliorare la gestione delle emozioni». E qui Castellanos, citando studi e progetti di ricerca, vola verso la conclusione: «La meditazione è una danza tra ciò che è volontario e ciò che è involontario», e i risultati degli attuali studi diventano per Castellanos un appello a vivere ogni esperienza con maggiore coscienza, ma senza ulteriori pretese, nel modo che porta a al maggior benessere - individualmente e singolarmente - possibile.