Quando non si sa quale via scegliere per
cogliere qualche brandello di pace spirituale, si scelga la via della mente. Il
sentiero è la mente stessa. Si osservi cioè come funziona la mente e si noti
quanta parte della nostra attività mentale sia automatica e inconscia. Noi non
pensiamo ciò che vogliamo, ma ciò che vogliono certe strutture consolidate
della mente e quindi gli altri e gli avvenimenti. In sostanza siamo degli
schiavi, degli automi.
Non siamo padroni dei nostri stati d’animo.
I quali non solo sono indotti dall’esterno, ma sono anche instabili.
Per recuperare un po’ di padronanza e di stabilità,
in un momento di quiete ritiriamo il più possibile la mente dagli stimoli
esterni. Se possibile, isoliamoci. Il mondo è esattamente ciò che proietta e
reifica la nostra coscienza. Se siamo agitati, confusi o tesi, è la nostra
mente che ha creato questo stato d’animo – in conseguenza o in concomitanza di
certe condizioni esterne.
Ma noi dobbiamo essere in grado di
cambiare – stavolta con un’operazione interiore – lo stato d’animo che ci fa
sentire male. Fissiamo allora lo spazio tra gli oggetti, non gli oggetti. E
poiché questo spazio non è visibile se non come sfondo o luminosità diffusa,
osserviamo non qualcosa di concreto o di delimitato, ma la spaziosità.
È facile capire che ogni cosa è una
differenziazione e delimitazione di questa spaziosità. È l’infinito che si fa
finito.
Noi recuperiamo l’intero, la totalità, lo
sfondo, il sostrato; non ci soffermiamo su nulla. Il pensiero è libero e non ci
dà fastidio. Ciò che noi cogliamo è il “sapore unico” di ogni cosa, e quindi un
nostro senso di benessere.
Se fossimo soli e in un ambiente naturale
che ci piace, questo senso di benessere potrebbe durare a lungo. Non è un senso
di gioia che venga dalle cose, ma dall’interno, da noi stessi; ed è quindi in
nostro potere prolungarlo e ripeterlo.
Ecco un esempio di come possa agire la
meditazione, non per invocare divinità della mente, ma per ridiventare padroni
di noi stessi e dei nostri stati d’animo.
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