martedì 15 agosto 2017

La fine della sofferenza

È chiaro che all’inizio, in meditazione, siamo guidati dalle sensazioni piacevoli (leggerezza, sollievo, chiarezza, distensione, quiete, gioia, ecc.). Ma la meta non è questa.
La meta è un superamento di tutte le reazioni egoiche, piacevoli e spiacevoli. Infatti, il problema delle sensazioni piacevoli è che inducono all’attaccamento e quindi non ci permettono di andare oltre. Si tratta comunque di fenomeni transitori, sottoposti alla logica dialettica.
Ogni volta che ci afferriamo a simili esperienze, in realtà consolidiamo l’io con il suo dualismo (bene-male, piacevole-spiacevole, gioia-dolore, ecc.).
Non dobbiamo afferrarci alle sensazioni, ma lasciarle andare. Osservarle come se non ci appartenessero. Come dice il Buddha, “per colui che si aggrappa, il movimento esiste; ma per colui che non si aggrappa, non c’è movimento. Dove non c’è movimento, c’è quiete. Dove c’è quiete, non c’è brama. Dove non c’è brama, non ci sono né l’andare né il venire, non ci sono né il nascere né il morire. Dove non ci sono né il nascere né il morire, non ci sono né questo mondo né un aldilà, e nemmeno un mondo intermedio. Questa è in verità la fine della sofferenza.” [Udana, 8, 4]


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