È chiaro che all’inizio, in meditazione,
siamo guidati dalle sensazioni piacevoli (leggerezza, sollievo, chiarezza,
distensione, quiete, gioia, ecc.). Ma la meta non è questa.
La meta è un superamento di tutte le
reazioni egoiche, piacevoli e spiacevoli. Infatti, il problema delle sensazioni
piacevoli è che inducono all’attaccamento e quindi non ci permettono di andare
oltre. Si tratta comunque di fenomeni transitori, sottoposti alla logica
dialettica.
Ogni volta che ci afferriamo a simili
esperienze, in realtà consolidiamo l’io con il suo dualismo (bene-male,
piacevole-spiacevole, gioia-dolore, ecc.).
Non dobbiamo afferrarci alle sensazioni,
ma lasciarle andare. Osservarle come se non ci appartenessero. Come dice il Buddha,
“per colui che si aggrappa, il movimento esiste; ma per colui che non si
aggrappa, non c’è movimento. Dove non c’è movimento, c’è quiete. Dove c’è
quiete, non c’è brama. Dove non c’è brama, non ci sono né l’andare né il
venire, non ci sono né il nascere né il morire. Dove non ci sono né il nascere
né il morire, non ci sono né questo mondo né un aldilà, e nemmeno un mondo
intermedio. Questa è in verità la fine della sofferenza.” [Udana, 8, 4]
Nessun commento:
Posta un commento