giovedì 25 agosto 2016

Teologia del terremoto

Arriva il terremoto, gli edifici si sbriciolano e le persone muoiono: un copione che in Italia si ripete spesso. La natura (nella sua veste non benigna) si scrolla di dosso le opere umane e gli uomini come se si trattasse di fastidiosi parassiti – nell’indifferenza cosmica.
Non c’è pietà, non c’è distinzione: vengono travolti buoni e cattivi, bambini e vecchi, credenti e non credenti, chiese e alberghi. Molti muoiono, qualcuno si salva.
Preti a Papi balbettano le loro vuote parole, le loro inutili consolazioni, le loro favole su un Dio che ci ama e ci protegge.
D’accordo, la natura non è Dio, ma è pur sempre il suo marchio di fabbrica. E la natura non guarda in faccia nessuno: nasce dalla violenza e muore nella violenza.
Naturalmente ci sono anche periodi di pace e di tranquillità, in cui gli uomini - le formichine - possono costruire e ricostruire. E ci sono anche persone che scampano al disastro, forse per fortuna, forse per caso, forse per meriti o forse per poteri personali.
Sta a noi investigare se sia possibile influire positivamente sui nostri destini e se sia possibile, almeno individualmente, scampare là dove i più vengono travolti.
Certamente, l’abilità maggiore è non farsi trasportare dalla corrente comune, è non farsi travolgere dalla tensione prevalente che – nella natura e nell’uomo – deve esplodere, prima o poi, in maniera catastrofica.

Un tempo certi personaggi saggi o santi venivano tenuti in grande considerazione e venivano coccolati dalle popolazioni locali proprio perché con la loro stessa presenza proteggevano il territorio dai disastri peggiori.

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