giovedì 11 agosto 2016

Gare dello spirito

Assistendo alle gare olimpiche con l’arco o con armi da fuoco, ci accorgiamo che qui non si tratta di un’atletica del corpo, ma di un’atletica della mente. Non a caso un bel libretto sullo zen s’intitola Lo zen e il tiro con l’arco (di Eugen Herrigel, Adelphi).
In effetti, non si tratta tanto di lottare contro un avversario, ma contro se stessi – contro le proprie ansie, le proprie paure, le proprie incertezze e le proprie distrazioni. “L’arciere affronta se stesso fin nelle ultime profondità” dice il testo.
Non dobbiamo né irritarci per un tiro sbagliato né esultare per un tiro indovinato. Dobbiamo imparare a starcene al di sopra con distacco. Dobbiamo imparare l’imperturbabilità.
Solo mettendoci al di sopra delle oscillazioni emotive, possiamo arrivare a far sì che il colpo parta e arrivi al centro da solo.
Non siamo più noi che tiriamo, ma siamo un tutt’uno con l’arco, la freccia e il bersaglio. Il tiro non dipende più dalla volontà, ma dallo spirito.
È questo tipo di concentrazione che si richiede anche in meditazione, quando ci si libera sia dall’angoscia della vita sia dalla paura della morte.
Per ottenere questa condizione spirituale, bisogna dimenticarsi del proprio ego e di tutti i suoi secondi fini.
Dobbiamo far sì che il tiratore si liberi di se stesso e che la coscienza si accordi con l’inconscio.


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