Tutti vorremmo sapere chi siamo,
tutti cerchiamo il nostro sé. Ma ciò che cogliamo è solo qualche aspetto della
nostra personalità, qualche sfoglia della cipolla che rappresenta il nostro io.
Non riusciamo però a coglierne il nucleo. “Chi sono io in essenza?”
Non sappiamo rispondere a questa
domanda anche perché tutto muta di continuo. Ma non è un male, tutt’altro.
Quando ci poniamo la domanda e non
troviamo la risposta, scopriamo in realtà la natura vuota e consapevole del
nostro sé.
Non trovando nulla di solido e di
immutabile (una specie di anima), arriviamo comunque a conoscere qualcosa,
anche se non è quel che ci aspettavamo. Se non altro, troviamo uno stato di
pace. In quel vuoto, infatti, in quella consapevolezza, la nostra ansia si
placa.
In un famoso dialogo tra Bodhidharma
e Huike, il suo futuro successore, questi domanda al maestro:
“La mia mente è angosciata. Ti prego
di darle pace”.
“Portami la tua mente e io le darò
pace.”
“L’ho cercata. Ma non l’ho trovata.”
“Allora, è già in pace.”
Che cosa significa essere in pace? Lo
sappiamo da brevi esperienze. Trovarsi in un momento senza domande, senza
ansie,senza paure, senza ricordi, senza pensieri, senza progetti futili, senza
aspettative e, soprattutto, senza desideri.
Il desiderio è il tormento - e la
gloria - dell’uomo, un essere che non smette mai di aspirare a qualcosa, se non
altro alla conoscenza.
Siamo continuamente immersi in stati
mentali che agitano le acque della nostra mente.
Ma, se per un volta smettiamo di pensare
e di desiderare e ce ne stiamo fermi nell’attimo presente, se siamo soltanto
consapevoli e se lasciamo andare tutto, proprio tutto… che ci rimane da
ottenere?
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