Sappiamo
che cosa sia la presenza mentale. È
essere consapevoli dei nostri atti e stati mentali: pensieri, fantasie,
ricordi, previsioni, emozioni, sentimenti, ecc.
In
meditazione, dobbiamo imparare ad estenderla fino a diventare continuamente
consapevoli di ciò che ci scorre dentro, sia che sia provocato da eventi
esterni sia da stimoli interiori.
Ma,
a questo punto, non dobbiamo diventare dei maniaci, dei fissati; non dobbiamo
identificarci con queste attività mentali; non dobbiamo farci assillare.
La
felicità non è tener tutto sotto controllo. Questo produce esattamente il
contrario: l’ossessione infelice.
Dobbiamo
piuttosto introdurre una qualità che si chiama “spaziosità.” Ossia imparare a distaccarci da questi stati e atti, in modo da vederli transitare come se
scorressero su uno schermo.
Facendo
questa operazione, ci allontaniamo dai nostri contenuti mentali e li vediamo
per quel che sono: fenomeni transitori e mutevoli. In tal modo lasciamo
emergere un nuovo centro: quello del Testimone silenzioso e trasparente che
osserva tutto senza esserne coinvolto. È
il sé.
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