Dobbiamo
saper riconoscere i nostri stati d’animo: per esempio, in questo momento sono
arrabbiato, triste, depresso, pauroso, invidioso, geloso, possessivo… E
dobbiamo anche saper riconoscere quali di stati d’animo sono prevalenti, tali
da connotare il nostro io: io sono iracondo, invidioso, competitivo, ecc.
Ma
questo non significa che noi siamo
solo così, solo quelli. Possiamo essere in mille altri modi, che si alternano
di continuo. Non dobbiamo quindi identificarci, identificare il nostro io, soltanto in base a questi stati d’animo.
Anziché
dire: “Io sono così”, diciamo: “Io sento, in questo momento, di essere così… Ma
io, il mio vero sé, la mia natura più
profonda, è qualcosa d’altro.
“Io
non sono la rabbia, ma talvolta sono rabbioso. Io non sono l’avidità, ma
talvolta sono avido…”
Se
guardiamo bene, ci sono momenti in cui non sono né rabbioso, né avido, né…
Identifichiamoci
con quello. “Quello sei tu!” dicevano
le Upanishad.
C’è
insomma un sé più profondo che non è coinvolto negli stati d’animo transitori,
abituali e superficiali. È come il fondo del
mare che resta calmo e sereno anche quando sulla sua superficie c’è la
tempesta. “Quello sei tu,” il tuo sé più autentico.
Identificarsi
con tale sé più profondo è importante primo
perché è un luogo di calma e di gioia, e secondo
perché ci permette di assumere una posizione del Testimone che riesce a
trascendere il dualismo mentale, costruendo a poco a poco un uomo nuovo e
molto, molto più consapevole.
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