C’è
un punto dentro di noi, al fondo, al di fuori degli stati d’animo mutevoli, al
di fuori in particolare della paura e del desiderio – un punto in cui si sta in
pace.
Quando
ci tuffiamo in acqua e scendiamo verso il fondo, là in basso dobbiamo
trattenere il respiro e non ci sono più rumori. C’è silenzio e tranquillità.
Possiamo guardare verso l’alto la superficie mossa dalle onde, ma laggiù, nel
punto in cui siamo, non si muove nulla: tutto è quieto e calmo.
Lo
stesso avviene per la nostra psiche. Se ci immergiamo al fondo, troviamo un
punto in cui si arrestano i pensieri e ci sentiamo in pace, lontani dai marosi
della vita.
Lo
scopo della meditazione è trovare questo punto, che è in realtà uno stato d’animo,
e rimanerci il più possibile.
Da
che cosa capiamo che lo abbiamo trovato? Dal fatto che la nostra mente è
tranquilla, serena, appagata, equilibrata, armonica, auto-consapevole e saggia.
Non
si tratta di uno stato tra gli altri, ma di uno stato da cui possiamo
contemplare, con uno sguardo limpido, ogni altro stato d’animo e, in
particolare, ciò che ci turba e ci fa essere agitati, senza pace.
Trattenersi
in questa condizione non è facile. Basta un pensiero, un pensierino qualsiasi,
talvolta un’emozione vaga, per distoglierci dalla tranquillità che abbiamo
trovato. Potrebbe essere un senso d’ansia, una sensazione di incapacità, una
paura minima, fondata o infondata. Bastano queste piccole sensazioni per avviare
una valanga di emozioni negative che ci travolgono e ci riportano in un’arena
di lotte, paure e desideri.
E
quindi dobbiamo fare continuamente un’opera di rimozione e di igiene mentale
per ritrovare la pace e, cosa molto difficile, conservarla anche nel mezzo del
trambusto esistenziale.
Di tutto questo le religioni non sanno niente.
Nessun commento:
Posta un commento