Quasi nulla ci toglie dalla testa l’idea
di essere degli io che possiedono un
corpo e una mente. Infatti diciamo: “Io cammino, io penso, io sono…”. Nello
stesso tempo siamo dominati dalla paura di perdere questo organismo
psico-fisico. Il pensiero della morte ci scatena angoscia e sgomento.
Ma se riflettessimo che il soggetto è
un costrutto mentale, addirittura grammaticale, questa paura scomparirebbe. Non
c’è nessuno che possiede un corpo e una mente. Ci sono azioni, ci sono
movimenti, ci sono pensieri, ci sono stati d’animo, ma il soggetto non c’è. Quando
lo cerchiamo non lo troviamo.
Non siamo diversi da un carro. Se
togliamo le ruote, se togliamo la stanga, se togliamo il fasciame di legno, non
troviamo l’essenza del carro: non troviamo niente.
Siamo noi che crediamo alla consistenza
di questo soggetto, siamo noi che gli diamo un nome e una forma, e siamo noi
che siamo terrorizzati dall’idea di perderlo. Ma, al di fuori di queste
pretese, non c’è niente; ossia ci sono processi senza un soggetto.
Dalla credenza dell’io nasce poi la
credenza del mio. E qui si allarga il
campo dell’attaccamento e dell’identificazione. Questo è il mio mondo - e questo è il mio Dio, che deve garantire, per così
dire, il gigantesco castello di carte che abbiamo costruito.
Ma il gigantesco castello di carte può
crollare da un momento all’altro a causa di un semplice soffio. Le cose e le
persone cui sono attaccato possono sparire in un istante. E anche il mio io può sparire in un istante. Rimane
allora un attonito orrore, una rancorosa delusione, come se qualcuno ci avesse
rubato ciò che possedevamo.
Ma in realtà ci rubano solo delle
illusioni, le nostre illusioni. Non avevamo capito che niente è nostro, nemmeno noi stessi.
A questa nuova consapevolezza dobbiamo
addestrarci: a vedere l’impersonalità del tutto.
Fra l'altro, questo ci permette di vivere senza paura.
Fra l'altro, questo ci permette di vivere senza paura.
Nessun commento:
Posta un commento