Di
solito pratichiamo per un po’ di tempo ed otteniamo discreti risultati, come
una certa serenità. Ma poi arriva qualche difficoltà, qualche ostacolo, qualche
malattia o qualche sventura – e non riusciamo più a meditare.
In
realtà, se ci aspettiamo di diventare illuminati passando da uno stato di
serenità ad uno di gioia, senza soluzione di continuità, e se pensiamo che la
meditazione sia capace di allontanare da noi ogni problema, ci sbagliamo.
Nessuno si è mai illuminato senza affrontare ostacoli, senza incontrare
difficoltà, eliminando da subito e per sempre dolori e disgrazie.
Forse
se vivessimo in una grotta sull’Himalaya, saremmo sempre sereni; ma nelle
nostre società è tutto un disturbo.
Il
problema non è dunque quello di allontanare per sempre i fastidi e le
sofferenze, ma quello di gestirle senza scoraggiarci. Anzi, potremmo dire che
proprio le difficoltà siano il combustibile della nostra liberazione. Anziché
negarle o considerarle dei nemici, vanno utilizzate come ostacoli da cui
prendere maggior slancio.
Tutto
può succederci, nel bene e nel male. Ma il saggio non si fa scoraggiare, “resta
vigile alle porte della mente”, non si aggrappa al benessere come ad un
feticcio, identifica le difficoltà soprattutto nelle proprie reazioni
(egocentrismo, gelosia, rivalità, arroganza, ira, attaccamento, illusione,
ecc.), si distacca da queste reazioni e tira avanti – prosegue nella propria
meditazione, che è la sua più grande alleata.
La
continuità nella pratica è fondamentale. Tutto va integrato nella meditazione.
Il punto cruciale, almeno per quanto riguarda me e il mio percorso di ricerca, è riassunto nelle sue parole che riporto: "...e se pensiamo che la meditazione sia capace di allontanare da noi ogni problema, ci sbagliamo. Nessuno si è mai illuminato senza affrontare ostacoli, senza incontrare difficoltà, eliminando da subito e per sempre dolori e disgrazie."
RispondiEliminaE' esattamente così, sono d'accordissimo.
Vorrei aggiungere che talvolta ho notato (quando mi è capitato di confrontare la mia esperienza con quella di altri) che in molte persone vi è quasi un atteggiamento fideistico nei confronti della meditazione. Un po' come se questa fosse la panacea di tutti i mali. Basta meditare e zac, prima o poi si mette tutto a posto!
Ma così si ricade in quel tipico dogmatismo (pervaso di ritualismo) che si credeva aver abbandonato.
Come dicevo all'inizio, questo per me è il punto cruciale sul quale concentro i miei sforzi:
l'aver costatato che la meditazione non risolve i problemi, aiuta però a fare una auto-diagnosi. Così, se c'è qualcosa che mi rende ansioso, la meditazione potrà rendermi cosciente del fatto che quello stato mentale negativo è amplificato a dismisura dalla mia mente irrequieta. Rimane però il fatto che, forse, un problema concreto esiste e non si tratta solo di elucubrazioni della nostra mente.
Occorre dunque fare qualcosa di concreto per eliminare quel problema (che sia un problema di lavoro, di relazioni umane ecc.)
Quello che mi sembra di aver capito è che non dobbiamo illuderci di “fare il pieno” di serenità, o di consapevolezza durante la meditazione per poi “farne uso” nelle attività quotidiane.
La meditazione però ci aiuta a re-interpretare i fatti, a rileggerli da un'altra prospettiva, il che è come dire che ci aiuta a conoscerci meglio: infatti noi scopriamo sempre qualcosa di nuovo in noi stessi quando scopriamo qualcosa di nuovo nel “mondo esterno”.