martedì 1 ottobre 2019

L'attaccamento alla vita


Gli uomini comuni sono felici quando nasce un nuovo essere e sono tristi quando muore qualcuno. Ma i saggi non si rallegrano troppo quando nasce una nuova vita, perché sono consapevoli che un altro essere è entrato nel mondo dei conflitti, dei desideri e delle sofferenze; e non si rattristano troppo quando una vita si spegne, perché sono consapevoli che quell’essere ha raggiunto di nuovo la pace e il riposo.
E tuttavia vedono anche come il processo sia pronto a ripartire, perché sanno che la potenza del desiderio è implacabile – ora per la vita, ora per la morte, in un circolo vizioso. Un circolo virtuoso è quello di chi non ritorna più, perché ha superato l’esigenza di vivere e di morire.
Diceva Nisargadatta Maharaj: “per me la morte non è una calamità, così come la nascita di un bambino non è una gioia. Il bambino va verso i guai, il morto ne è fuori. L’attaccamento alla vita è attaccamento al dolore. Amiamo ciò che ci fa soffrire. Tale è la nostra natura. Per me la morte sarà un momento di giubilo, non di paura. Piangevo quando nacqui, e morirò ridendo”. [Io sono Quello, vol II, Rizzoli, 113].

Nessun commento:

Posta un commento