Gli uomini comuni sono felici quando
nasce un nuovo essere e sono tristi quando muore qualcuno. Ma i saggi non si
rallegrano troppo quando nasce una nuova vita, perché sono consapevoli che un
altro essere è entrato nel mondo dei conflitti, dei desideri e delle
sofferenze; e non si rattristano troppo quando una vita si spegne, perché sono
consapevoli che quell’essere ha raggiunto di nuovo la pace e il riposo.
E tuttavia vedono anche come il processo
sia pronto a ripartire, perché sanno che la potenza del desiderio è implacabile
– ora per la vita, ora per la morte, in un circolo vizioso. Un circolo virtuoso
è quello di chi non ritorna più, perché ha superato l’esigenza di vivere e di
morire.
Diceva Nisargadatta Maharaj: “per me la
morte non è una calamità, così come la nascita di un bambino non è una gioia.
Il bambino va verso i guai, il morto ne è fuori. L’attaccamento alla vita è
attaccamento al dolore. Amiamo ciò che ci fa soffrire. Tale è la nostra natura.
Per me la morte sarà un momento di giubilo, non di paura. Piangevo quando
nacqui, e morirò ridendo”. [Io sono
Quello, vol II, Rizzoli, 113].
Nessun commento:
Posta un commento