Il nostro problema è che comprendiamo
intellettualmente il messaggio sia dei maestri orientali sia di alcuni mistici occidentali,
ma ci manca l’esperienza. La nostra mente capisce tutto, ma poi non sa
abbandonare la presa, lasciando spazio alla pratica. In tal senso, siamo troppo
intellettuali. E così il messaggio del “divino in noi” rimane lettera morta, un
sogno della mente.
Il linguaggio non ci aiuta perché è
dualistico e non riesce a cogliere l’unità del tutto. D’altra parte, non
dobbiamo neppure limitarci ad esperienze solipsistiche. Da occidentali vogliamo
costruire un vero ponte tra condizionato e incondizionato, una via “tecnica”
che sia percorribile da tutti, e non solo da qualche anima eccezionale.
Anche per le affermazioni metafisiche,
siamo figli di Galilei e del metodo sperimentale, e non ci accontentiamo di
semplici enunciazioni teoriche. Le teorie sono affascinanti. Ma come possiamo
dire che siano vere se non le esperiamo e verifichiamo noi stessi?
Vogliamo introdurre la tecnica nella nostra
esperienza della trascendenza? E perché no? Sarebbe ora.
Prima abbiamo esplorato la Terra, oggi
esploriamo lo spazio esterno, e ora ci manca lo spazio interno, le profondità
dell’anima. È lì che c’è la “porta stretta”. Bisogna che qualcuno vi penetri
dentro e riporti indietro il segreto del fuoco, sperando che non finisca punito
dagli dei, che, chissà perché, non vogliono mai che rubiamo i loro segreti e
progrediamo anche noi.
Gentile Lamparelli,
RispondiEliminaLei saprebbe illustrare lo stato dell'arte del programma di "sondaggio" delle profondità dell'animo umano, le strategie, le prospettive, pur nel paradosso che si aneli a una condizione al di là del tempo e dello spazio? Grazie...
Le rispondo con il prossimo post.
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