Quando
usciamo dal sonno notturno, c’è come un attimo di sospensione. Ci eravamo
dimenticati chi siamo… abitualmente. Per un attimo ci domandiamo: “Chi sono io?
Dove mi trovo? Qual è la mia identità?” La confusione peggiora se abbiamo fatto
un sogno in cui eravamo qualcun altro: lì passiamo da un’identità all’altra.
Ma questo dimostra che la nostra identità
può svanire o cambiare. “Stanotte ho sognato di essere una farfalla” scriveva
Zhuang-zi. “Ma ero io che sognavo di essere la farfalla o la farfalla che sogna
di essere me?” Il dubbio permane.
Se per un incidente o una malattia perdiamo
la memoria, possiamo o smarrire la nostra identità abituale o smarrire del
tutto l’identità. In quest’ultimo caso, il nostro corpo continua a vivere ma
noi non sappiamo più chi siamo. Anzi, sarebbe meglio dire che non esiste più la
coscienza di un io; non esiste più la memoria che leghi un insieme di elementi
che sono la mia identità.
Dunque l’identità è tutta una questione
di memoria, di ricordi. Se perdiamo la memoria, perdiamo l’identità.
Inoltre la memoria non è infallibile e
spesso interpreta i ricordi a modo suo. Dunque, anche la nostra identità abituale
o prevalente è quanto mai incerta e può subire cambiamenti. Magari crediamo di
essere qualcuno che non siamo.
È un bel pasticcio. Non siamo sicuri di
niente. Ci attacchiamo a ricordi e ad abitudini. Ma ignoriamo quale sia la
nostra vera identità.
Se perdiamo la memoria per un po’, ma
poi la riacquistiamo, possiamo dire di essere stati assenti. Ma dove siamo
stati? In una specie di non-io, in uno spazio senza coscienza di sé, in un
ventaglio di possibilità di cui nessuna era prevalente.
È come un sogno confuso o una visione
sfocata. E, se la nostra identità è così incerta nella vita di veglia,
figuriamoci dopo la morte. Non abbiamo nessuna speranza che permanga.
Può esistere e resistere un sogno senza
un sognatore dotato di una precisa identità? È un sogno confuso di un io incerto.
È chiaro che il nostro fondamento
dovremo cercarlo altrove. Non in questa labile memoria, ma in ciò che ne è il
testimone. Dovremo andare sempre più indietro e sempre più a fondo per
ancorarci al testimone, al nostro semplice “io sono”, forte come una roccia.
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