Porsi
la domanda "chi sono io?" è la nostra grandezza e la nostra
disperazione. La nostra grandezza perché nessun altro animale è in grado di
porsela. La nostra disperazione perché, ponendoci la domanda, ci mettiamo al di
fuori della Totalità e ce ne separiamo, come se fossimo individui isolati.
Eppure dobbiamo porci la domanda. Ma la
risposta è che siamo particelle di un unico insieme, di un unico organismo, non
esseri separati.
Comprendere questa semplice verità è già
una forma di illuminazione. Percepirla
è già realizzazione, perché ci si pone al di là del piccolo io.
La realizzazione è sentirsi parte
del tutto. E non si tratta tanto di un pensiero quanto di un'esperienza, di una
sensazione, di una consapevolezza, di una intuizione. A questa scoperta si
oppongono tutti gli atteggiamenti di rigidità, di discriminazione, di durezza e
di separazione, in particolare quello di ritenersi un ego diviso, solitario e
indipendente. Di indipendente in questo mondo non c'è niente. Ogni cosa dipende
da altre cose, ogni cosa esiste perché sono esistite ed esistono altre cose.
Ma se uno di noi si rinchiude in se
stesso, si contrappone agli altri e al mondo e si crede orgogliosamente un
individuo a sé stante, non solo non ha un atteggiamento aperto, ma va anche
incontro ad una sofferenza senza fine. In fondo questo genere di sofferenza
mentale è la cartina di tornasole del nostro grado di saggezza.
Non esistono né cose né esseri separati.
La realtà ultima è unità, è un tutto interconnesso. Strappa un filo d'erba, e
l'universo tremerà.
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