L'individuo
che pensa di essere un io separato, immerso nel fiume del divenire, entra già –
proprio per questo - nel mondo della sofferenza. Quando invece siamo felici o
gioiosi, scompare addirittura il senso dell'ego. In realtà non ci chiediamo più
niente: svanisce la domanda. La mente non è divisa e neppure tesa.
Nella sofferenza, il senso dell'ego è
fortissimo e crea barriere che ci separano da tutto e da tutti.
Dobbiamo dunque riflettere sul fatto che,
quando siamo rilassati, ci sentiamo bene, mentre, quando prevale la
tensione, soffriamo.
Tendersi significa separarsi e penare,
rilassarsi significa sciogliersi e gioire. Naturalmente i due stati d'animo
sono complementari.
Ora, finché viviamo in questo mondo di
opposti, il polo da scegliere e da prolungare il più possibile sarà ovviamente
quello della distensione. Ma non ci facciamo illusioni: se c'è l'uno c'è anche
l'altro. L'ideale perciò è andare all'origine di entrambi, uscendo il più
possibile dal gioco e dal mondo dialettico.
Al di là del bene e del male, del piacere
e del dolore: la nostra coscienza è dualistica, determinando il mondo in cui
viviamo. Non può esserci contraddizione fra coscienza e mondo: l’uno crea l’altro.
Ma prima del dualismo che cosa c’è?
Dobbiamo scendere più a fondo, prima della biforcazione.
Prima della biforcazione c’è un sentiero
unico, dove non c’è né questo né quello, né essere né non essere. È il luogo
dell’unità, “da dove le parole (e i pensieri) recedono”, come dicono le Upanisad.
La fisica si è accorta da poco che l’atto
del conoscere fa precipitare le cose dal loro indeterminato stato originario e
le cristallizza in modo univoco. Ma i mistici avevano già scoperto da secoli
che per “conoscere” la trascendenza occorreva nascondere la mente divisiva
sotto una “nube della non conoscenza”.
In altri termini è sbagliato voler “conoscere”
la trascendenza, cioè volerla inquadrare nelle nostre categorie mentali. Ciò
che è importante è sospendere questo tipo di conoscenza e inserirci nell’unità
fondamentale. Qui scopriamo una “gioia” e un “essere” che non hanno più i loro
contrari.
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