Indagare sul proprio io empirico, conoscere se stessi, è diverso
dall’indagare sul Sé spirituale. La prima è una pratica psicologica, la seconda
è una pratica meditativa.
Ma è possibile
un'esperienza del Sé che non sia una esperienza di un io separato - separato da
tutto il resto e ingabbiato in un corpo e in una psiche? Sì, è l'esperienza
dell'essere puro e semplice, dell'essere presenti e basta: l' "io
sono", anzi, il “sono”, l’ “essere”, senza altre determinazioni.
Seconda la tradizione
dell'Advaita Vedanta, questa esperienza è contraddistinta dal trio
"sat-cit-ananda": essere, consapevolezza e beatitudine. La
realizzazione di questa presenza del puro essere è chiamata "jnana"
("conoscenza") e coincide con l'illuminazione. Ma non esiste un
individuo separato che compia questa esperienza. Alla fine sussiste soltanto l'
"io sono", un Io o un Sé impersonale.
Quando si realizza
questa consapevolezza priva di sforzo in maniera continuativa, si parla di
realizzazione del Sé. Non si può comunque dire che un ego l'abbia "ottenuta",
poiché essa coincide con il superamento o con la liberazione dal e del sé empirico, l’ego.
All'inizio, l'ego con
la sua mente duale fa il suo lavoro, dato che svolge una ricerca sul Sé
universale e si sforza di ritrovare la Totalità. Non si tratta tanto di un
controllo della mente, quanto dell'essere testimoni di tutto ciò che ci capita
in modo distaccato, senza esserne coinvolti, di uno svuotamento.
Si ricerca la propria
origine, non più confinata in un corpo e in una psiche, e non toccata né dalla
nascita né dalla morte, in quanto infinita.
L' "io sono" - per dirla con Nisargadatta Maharaj - è il Brahman, ovvero la coscienza universale, Dio, ect. ma l'Assoluto nel suo stato-non stato puro e incondizionato sta prima della coscienza. E' il Parabrahman, che nel suo stato originario non è consapevole di essere, giacché lì non v'è dualismo. E' simile al sonno liberatorio senza sogni, è la cosiddetta nostra vera natura, il luogo-non luogo ineffabile che ME (Meister Eckhart)
RispondiEliminaindicò con l'espressione "là dove stavo e volevo quello che ero, ed ero quel che volevo"
"Io sono Quello" ripeteva Nisargadatta ai visitatori che andavano a trovarlo da ogni parte del mondo. 'Quello' è l'indicibile vuoto beatifico che sta prima della manifestazione, antecedente l'essere e il non-essere. Le parole non possono essere la cosa, ma indicano l'indirizzo del luogo interiore privo di pensieri dove si realizza attraverso il dissolvimento
del piccolo io (ego) la fusione con Quello. Provare per credere, anzi per es-perire.
Ottima sintesi del pensiero di Nisargadatta e dell'Advaita Vedanta. Resta comunque il punto che tutto ciò non va compreso solo a livello intellettuale, ma va esperito concretamente. Questo distingue la filosofia dalla meditazione.
RispondiEliminaSo benissimo che la parola non è la cosa, ma l'esperienza c'è stata e tuttora è in atto.
RispondiEliminaHo avuto l' esperienza casualmente, quando non sapevo intellettualmente nulla di tutto ciò. Accadde molti anni fa e, nel dubbio che fossi impazzito, andai a cercare nella biblioteca nazionale di Roma uno o più testi che descrivessero un'esperienza analoga. Mi rinchiusi nella biblioteca parecchi giorni, alla fine trovai un libricino sullo Zen leggendo il quale compresi di avere avuto l'esperienza del satori. Il giorno dopo decisi di concludere la mia ricerca. Stavo per uscire dalla biblioteca e passando vicino al tavolo del bibliotecaio mi andò lo sguardo sulla copertina di un esile libro. Era Sermoni tedeschi di...ME, il bibliotecaio lo aveva riportato da casa perché stava facendo una sua personale ricerca. Quel libro fu per me "illuminante", nel senso che capii che la mia esperienza interiore non poteva essere affatto verbalizzata, ma Meister Eckhart indicava la medesima "faccenda", seppur nel linguaggio per così dire cattolico. Da allora in poi continuai l'autoindagine, attraversando anche "la notte buia dell'anima". Non amo parlare molto della mia persona giacché, per dirla ancora con Nisargadatta, "non esiste la liberazione della persona, la liberazione può essere soltanto dalla persona". Comunque dal punto di vista dell'Assoluto, che è sempre solo con se stesso, chi è Nisargadatta se non un'espressione della 'mia' coscienza?
Direi proprio di sì. Ma la mia domanda è: saprebbe indicare a qualcun altro o a se stesso come fare a ripetere quell'esperienza?
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