Émile Cioran, lo scrittore rumeno-francese, diceva: "Sono
attratto dalla filosofia indù, il cui proposito essenziale è il superamento
dell'io; eppure tutto quello che faccio e tutto quello che penso è solo io e
disgrazie dell'io".
Questa frase centra l’aspirazione di religioni come l'induismo e il
buddhismo, un’aspirazione che appartiene in realtà a tutte le spiritualità: uscire
dal campo ristretto dell'io e riuscire a guardare se stessi, i fatti, i
pensieri, i sentimenti e il mondo come semplici dati di fatto; non qualcosa che
è "mio".
In effetti,
neppure il mio io è mio, dato che è costituito da un insieme di cause e di
condizioni. Anche Gesù afferma che chi vuole seguirlo deve rinunciare a tutto,
"anche a se stesso". Dunque, il punto è l'abbandono del nostro modo
di essere uomini: l'accentramento egoico, il vivere rapportando tutto all'io e
al suo interesse. Basterebbe seguire questa indicazione per costruire un mondo
migliore.
Mentre però in
Occidente non esistono tecniche per addestrarsi a vivere senza io e per
trascendere la visione egoica, in Oriente ci si affida a tecniche di
meditazione che hanno proprio lo scopo di abituare l'individuo a sentirsi e ad
agire in modo quasi impersonale, guardando, più che al proprio interesse, all'interesse
generale.
Certo, non è
facile, perché la nostra è la civiltà dell'ego e nessuno ci prepara a vederci
come esseri universali. Non solo tutti i nostri pensieri e i nostri interessi sono
incentrati sull’io, ma anche tutte le nostre azioni. Con il magro risultato,
però, che siamo dominati dalla paura – paura di perdere l’io e il mio.
Noi siamo
convinti che, senza questa preoccupazione, il nostro io si dissolverebbe. Non
teniamo conto del fatto che le nostre migliori esperienze sono quelle in cui
superiamo il senso dell’io e tutti i suoi melodrammi. Noi siamo così attaccati
al nostro ego che ci rinchiudiamo in un mondo asfittico e infelice.
In meditazione
dobbiamo arrivare ad allentare la presa dell’io e a considerare tutte le nostre
esperienze (pensieri, emozioni, impulsi…) come eventi mentali transitori che
passano e vanno via. Li contempliamo lasciandoli andare via, senza pretendere
di appropriarcene. È questo il sentiero della liberazione.
Se un pensiero
si affaccia, noi lo osserviamo con distacco, come se non ci appartenesse. In
fondo, non sono io che penso, ma è quel pensiero che si produce da solo. Quando
siamo concentrati su qualcosa, ci dimentichiamo di ogni altra cosa e
soprattutto dell’ego. E ci sentiamo liberi e gioiosi.
Impariamo a
prendere le distanze dall’io e ne trarremo solo vantaggi.
Nessun commento:
Posta un commento