Di solito immaginiamo l’illuminazione o
la realizzazione come il raggiungimento di una Super-mente o di una
Super-coscienza. Ed essere consapevoli ci sembra il massimo dell’evoluzione.
Ma non possiamo dimenticare che
coscienza è sinonimo di divisione. Se sono consapevole di me, vuol dire che mi
sono scisso tra soggetto e oggetto. Quando un bambino nasce, non ha nessuna
consapevolezza di sé, non può neppure pensare o sentire “io sono”. Ci vogliono
anni per formare una coscienza. E nessuno si ricorda di cos’era prima di
nascere.
Il fatto è che non c’era coscienza,
così come non ce n’è quando ci addormentiamo o sveniamo. Avere una coscienza ci
sembra un grande risultato, una conquista dell’evoluzione; ma perché poi
dobbiamo sparire di nuovo nel nulla? Dal nulla veniamo e nel nulla torniamo.
Sembra un gioco scemo… a meno che
qualcuno un giorno non trovi il modo per non morire o per passare da uno stato
all’altro senza sofferenze. I primi cristiani, per esempio, credevano che
sarebbero stati direttamente “assunti” in cielo.
Comunque sia, rimarremmo esseri divisi,
e quindi una vera meta ultima comporterebbe un Sé unitario (non diviso), in cui
sparirebbe ogni traccia di divisione, ma anche ogni traccia di coscienza,
almeno così come la intendiamo noi.
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