Quando vediamo morire o soffrire un
bambino, ci domandiamo che senso abbia. Nell’orizzonte espiatorio-sacrificale
del cristianesimo ci dev’essere una colpa preesistente e, quindi, se non
troviamo una colpa personale, ricorriamo all’idea del peccato originale o
diciamo che è un mistero divino. Così tutti possono essere colpiti in ogni
momento.
Nella tradizione giudaico-cristiana, la
sofferenza è giustificata. Ma lo è in
modo semplicistico. Se c’è un dolore o una sventura c’è una colpa, magari non
personale ma di un intero gruppo sociale. Per esempio, per punire il peccato di
un padre, si colpisce il figlio – con buona pace della giustizia divina. D’altronde,
che cos’è il peccato originale se non un’ingiustizia divina che, per punire
uno, punisce tutti?
In Oriente si ricorre almeno all’idea
di karma, ossia di un destino che va avanti più esistenze, ragion per cui, se
un bambino deve soffrire oggi, è perché in precedenza lo stesso individuo ha
combinato qualcosa di male. C’è una maggior logica.
Ma lasciamo stare il passato con le sue
colpe e le sue responsabilità.
Il problema è quello della sofferenza
attuale. Ora, per quanto si sia sbagliato in passato (individualmente o
collettivamente), c’è un modo per attenuare oppure addirittura annullare o prevenire
malattie, punizioni, incidenti e sofferenze varie. E consiste nel diventare
consapevoli di sé e del proprio destino, impedendogli che operi in modo meccanico
e spietato.
Anche se il karma esiste, lo si può
disattivare. Ma occorre crearsi attorno una difesa o uno scudo personale. Questo è uno degli scopi della coltivazione della consapevolezza.
La consapevolezza può tutto.
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