Se si adotta il respiro come metodo per
entrare in meditazione (e per non fare della meditazione una pratica astratta,
solo filosofica), dobbiamo capire che dobbiamo passare dlla respirazione
normale a quella meditativa.
Abbiamo detto che calmare la
respirazione è un sistema per acquietare l’intero complesso psico-fisico. Ma,
prima di calmarla, è bene approfondirla e prolungarla, in modo da sbloccare il
petto e i polmoni che di solito lavorano meccanicamente, poco e male.
Noi crediamo che per allungare il
respiro si debba espandere l’addome e il torace, in modo da riempirli il più
possibile d’aria. Ma la fisiologia ci insegna che, quando si allarga il torace,
l’addome si contrae. Osserviamo bene.
Nella respirazione normale, quando si
espandono i polmoni e il torace, cioè quando si inspira, in realtà il diaframma
si abbassa e spinge in fuori la pancia; quando si espira, il diaframma si alza
e la pancia si abbassa.
Nella respirazione meditativa, noi
allunghiamo le inspirazioni e soprattutto le espirazioni, in modo da ottenere
movimenti di sblocco di tutto l’apparato respiratorio. Possiamo tener presente soprattutto
la zona pancia-addome: prima contraiamo la pancia e poi la espandiamo, come se
si trattasse di un mantice.
La pancia, l’addome e il diaframma sono
il nostro motore e il nostro indicatore.
Continuiamo così per tre o quattro
volte, e poi riprendiamo la respirazione normale, osservando se si è allungata
e approfondita. E, soprattutto, se la mente-respiro si è calmata.
È da questa sensazione di sollievo e di
rilassamento (dalle tensioni abituali) che possiamo proseguire la nostra
meditazione.
In ogni caso, anche senza raggiungere
risultati strabilianti, staremo meglio. Perché avremo imparato a liberare il respiro.
GRAZIE PER QUESTI ESEMPI QUOTIDIANI GRAZIE DAVVERO
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