L’acqua racchiusa in un vaso non è libera, in due sensi: primo,
non è libera di andarsene o di spostarsi; secondo, deve assumere la forma del
vaso.
Quell’acqua sarà libera solo se si rompe il vaso. Quando il vaso
si rompe, l’acqua non sarà più prigioniera e potrà assumere altre forme o
nessuna.
Se il vaso è il nostro corpo e il nostro sé, cioè il nostro essere in un certo modo, allora solo
quando il corpo si romperà, ossia sarà morto, l’acqua che vi è contenuta – l’essere
– potrà assumere altre forme o nessuna. Se assume altre forme, sarà ancora prigioniera.
Solo se non assume nessuna forma, potrà essere veramente libera. Ma non sarà
più se stessa, non assumerà mai più un sé, per quanto bello, nobile ed elevato.
Le religioni ci dicono che, dopo la morte, otterremo un’altra
vita, un altro sé. Però saremo comunque congelati in una forma, e quindi non
saremo liberi.
Per essere liberi, dobbiamo in realtà scioglierci da qualsiasi
forma, da qualsiasi sé, per quanto elevato possa essere. Anche un Dio, se ha
una forma, non sarà comunque libero e dovrà a sua volta morire, ossia subire un’ulteriore
trasformazione. Diceva a tal proposito Hobbes: “Libertas nihil aliud est quam absentia impedimentorum motus”.
Ora c’è un unico stato in cui vi è “assenza di impedimenti”:
quello della vacuità, intesa non come annientamento di tutto, ma come
fondamento libero di tutto. Al contrario, ogni stato di essere o di non-essere
è condizionato.
Ma ciò che è al di là tanto dell’essere quanto del non-essere non
può essere né pensato né compreso. Ci ai potrà tutt’al più avvicinare
sottraendo a poco a poco limiti e forme, fino al punto di sottrarre anche il
pensiero, per giungere a ciò che la teologia negativa, e l’Oriente, chiamerebbero
non-conoscenza.
Chi crede invece di conoscere, non conosce.
Nessun commento:
Posta un commento