Poiché viviamo in un periodo storico di
preoccupazioni e di ansie, la meditazione si pone anche come un metodo di
rasserenamento. La prima cosa che si deve sapere è che ogni preoccupazione,
ogni ansia, ogni angoscia, ogni stress, si ripercuote sul respiro. È molto
facile trovare un rapporto tra stati mentali e ansia, e le tecniche di
meditazione hanno sempre lavorato su questa corrispondenza.
In linea generale, gli stati di preoccupazione
si riflettono in un respiro corto, affannato, irregolare e su una stretta dei
muscoli della respirazione, come se fossimo legati e impediti a respirare
liberamente. Invece gli stati di calma, di serenità e di distensione sono
caratterizzati da un respiro lungo, profondo, fluido e dalla mancanza di un
senso di costrizione al petto. Possiamo espandere il torace e allungare la
respirazione.
Ma se gli stati di ansia, si riflettono
sul respiro, è vero anche il contrario: il respiro può influenzare gli stati d’animo.
Di qui tutte le tecniche volte ad allungare il respiro e a liberare il petto e
i polmoni, in modo da poter inspirare più aria.
Calmare il respiro ha effetti molto
potenti: riporta tranquillità, rilassamento e una sensazione di piacere e di
liberazione.
Riuscire a respirare liberamente, ad
espandere i polmoni, è la base di questo addestramento alla pace mentale. Il
metodo più semplice è contare la durata dell’inspirazione e dell’espirazione.
Se arriviamo solo a due o tre, lo stato d’animo e il respiro sono certamente
contratti. Bisogna dunque lavorare per arrivare al quattro, al cinque o più. Se
ci riusciamo, vedremo che anche il nostro stato d’animo si distenderà.
Il senso di tranquillità che ne deriva
non è solo una questione psicofisica, ma anche una questione spirituale. È
infatti proprio questo stato che ci permette ad accedere alle fasi preliminari
del samadhi, ossia della condizione di liberazione, caratterizzata prima di
tutto da una sensazione di soddisfazione, di quiete e di gioia.
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