domenica 31 luglio 2016

Prendere le distanze da sé

La prima cosa da fare in meditazione è prendere le distanze da sé e vedersi come esseri umani distinti, seduti lì, che osservano se stessi, senza dare giudizi.
Questa presa di distanza da sé, questa consapevolezza, è assumere la presenza mentale. Così facendo si prendono le distanze dal proprio ego individuale (“Io, il il tal dei tali…”) e si sviluppa una coscienza universale.
Immersi sempre nella contingenze, pochi si rendono conto che prendere le distanze da sé, dal proprio io empirico, è essere presenti in senso impersonale.

Questa è la meditazione: un superare i propri limiti egoici per farsi più universali. Per incontrare l’universalità.

L'armonia del tutto

Qualche volta ci sembra di dover scegliere fra fusione mistica con la Realtà Ultima o mantenimento della nostra individualità. Ci sembra di essere di fronte a un grave dilemma.
Ma non è così: tra i due poli (evidenti aporie della mente) c’è in effetti un rapporto dialettico.
Nel tutto c’è sia fusione sia distinzione, sia una fusione oceanica dell’onda con il mare sia un’emersione individuale. Non c’è da fare una scelta.
Noi stessi un po’ ci uniamo (nell’amore, nel sesso, nella nazione, nella religione, ecc.) e un po’ ci separiamo da questo fondo indistinto per rivendicare la nostra autonomia.
La realtà è un gioco continuo di opposti, senza che nessuno prevalga.

Ora l’uno ora l’altro, in un passaggio continuo e armonioso.

sabato 30 luglio 2016

Prigionieri della mente

Quei musulmani che, vivendo in Italia, non mandano le figlie a scuola per non farle contaminare dalla mentalità e dal modo di vivere occidentali, sono prigionieri della loro cultura, e sono dannosi a sé e agli altri. Poiché sono abbarbicati a determinati valori, non possono capire quelli degli altri. Hanno la mente chiusa.
Si tratta in effetti di una prigionia culturale.
Noi li guardiamo con compatimento. “Poveretti, come sono limitati!” Ma non ci rendiamo conto che  siamo anche noi prigionieri della nostra cultura.
Tutti abbiamo credenze, convinzioni e schemi mentali che non mettiamo quasi mai in discussione. Siamo come fedeli soldatini che eseguono ordini senza mai chiedersi se siano validi.
Pochi riescono a vedere al di là dei propri condizionamenti sociali. Di conseguenza siamo prigionieri a vita della nostra mente.
La prima cosa, quindi, è riuscire a mettere in discussione i valori in base a cui ci muoviamo. Ed è questo che fa la meditazione. Non ti dice: “Questo è giusto e quello è sbagliato”. Ti dice: “Renditi conto, sii consapevole, prendi le distanze dalla tua cultura, dalla tua mente… sempre che tu voglia capire qualcosa del mondo e del modo in cui vivi e, possibilmente, andare al di là”.


venerdì 29 luglio 2016

Deliri collettivi

Sembra che il mondo sia in preda ad una crisi di follia, quasi che si trattasse di un’epidemia o di un’ondata di forze negative.
Ma, in realtà, la follia c’è sempre, c’è sempre stata, perché l’uomo è un animale malato di… mente. Schizofrenia (la divisione in tanti io) e paranoia (deliri di grandezza e di onnipotenza, deliri persecutori) non riguardano solo pochi individui, ma tutti.
Ci meravigliamo che gruppi di credenti possano scatenare terrorismo e guerre contro altri credenti o non credenti. Ma la follia era già lì: nel credere che esista un Dio a misura umana che invii profeti e salvatori, che fondi religioni e che pretenda un culto ossessivo.
Questi sono già sintomi di una malattia mentale che consiste nel non saper guardare e vedere la realtà, costruendosi entità immaginarie.
Di pazzi del genere è pieno il mondo, e in genere li affidiamo alle cure psichiatriche. Ma qualcuno è riuscito a sfuggire e ha fondato religioni.
Se poi pensiamo che miliardi di persone credono in simili deliri e adorano divinità immaginarie, abbiamo un quadro della salute mentale dell’umanità.


giovedì 28 luglio 2016

Il prezzo della felicità

Affamati di durata, di consistenza, di permanenza e di solidità, vorremmo afferrare le esperienze più belle e renderle eterne, cancellando tutto ciò che non ci piace. E così sogniamo - e creiamo - paradisi e inferni.
Ma la realtà è un insieme di esperienze diverse, una mescolanza, un’alternanza, un cambiamento continuo. È dunque instabile, transitoria e contraddittoria per definizione.
Questo non ci piace. Non riusciamo ad accettare che le cose vadano così. Vorremmo scegliere da fiore a fiore, prendendo i sapori più dolci e scartando quelli più aspri.

Ecco l’illusione, alimentata da una cultura che vorrebbe ottenere la felicità senza pagarne il prezzo.
Meditare è vedere l'insieme. E poi accettarlo.

La croce e la spada

Papa Bergoglio sostiene che questa non è una guerra di religione, ma una guerra di interessi, perché in realtà tutte le religioni vogliono la pace. Purtroppo, la distinzione fra interessi e religione, fra Cesare e Dio, fra politica e fede, non è chiara a nessuno, tanto meno ai religiosi, che s’intromettono in qualsiasi campo e vogliono comandare in ogni questione, dal divorzio all’aborto, dalla contraccezione all’eutanasia, dalle unioni civili all’omosessualità, dai salari alle tasse, dai governi alle amministrazioni locali, ecc.
Una guerra di religione è sempre anche una guerra di interessi, così come dimostrano le antiche crociate.
Certo, un Papa non può ammettere che le religioni contribuiscano e abbiano sempre contribuito a dividere gli uomini e a seminare zizzania. Chi pensa di essere il depositario della verità non accetta le verità degli altri.
D’altronde, come non vedere che si tratta propria di una guerra di religione quando due fanatici musulmani hanno da poco assassinato un prete sull’altare?
Chi ha una fede guarda con ostilità e con malcelata antipatia le fedi altrui. Qualcuno sbaglia. Chi sarà?...
Le religioni sono sempre state motivo di contrapposizione e di guerra. Gli stessi cristiani hanno perseguitato tutti gli altri credenti e hanno distrutto con le buone o con le cattive le religioni dei popoli che andavano a conquistare, da un continente all’altro.
Che cosa diceva Gesù? “Non sono venuto a portare la pace, ma una spada”. In questo era un profeta.


mercoledì 27 luglio 2016

Meditare il vuoto

“La forma è vuoto, il vuoto è forma” afferma il Sutra del cuore. Ma il nostro rapporto con il vuoto è per lo più di repulsione. Natura abhorret a vacuo dice una famosa frase latina che riassume una linea di pensiero molto diffusa e molto sbagliata.
Dunque, noi non amiamo il vuoto. È qualcosa che ci spaventa e che assimiliamo, erroneamente, al nulla.
Non appena c’è un vuoto, nella nostra vita o nella nostra mente, tendiamo a riempirlo. Tutto, nella nostra mentalità, deve essere pieno, continuo, attivo, solido.
Ma, ahimè, il vuoto c’è e traspare da ogni cosa. Senza il vuoto, il mondo non potrebbe essere. Se togliessimo il vuoto dalla materia, non rimarrebbe che un pugno di polvere.
Tutto è intessuto di vuoto. Nessuna forma potrebbe esistere senza il vuoto. Nel taoismo, si fa l’esempio del vaso: che cosa sarebbe un vaso senza il vuoto?
Ma anche a livello psichico il vuoto è indispensabile. Tra una sensazione e l’altra, tra un pensiero e l’altro… ci sono vuoti, intervalli, che non ci piacciono, che cerchiamo di nascondere, ma che permettono l’attività mentale.
Odiamo talmente il vuoto che, piuttosto che rimanere vuoti per un po’, preferiamo pensare a qualsiasi sciocchezza o cadere addormentati.
Ed ecco perché non riusciamo ad essere presenti. Non accettiamo questa parte di noi. Abbiamo un’idea sbagliata della presenza, dell’essere, della consapevolezza. Pensiamo che trovare noi stessi sia trovare un nucleo solido, pieno, continuo e distinto. E invece ci troviamo di fronte alla discontinuità e al vuoto.
Per meditare, dovremmo stare seduti, stare in silenzio e non fare nulla – in breve fare il vuoto. Ma non riusciamo a lasciare la presa e la pretesa.
Di fronte al vuoto ci sembra di precipitare nel nulla. Eppure, la realtà, per essere e per divenire, ha proprio bisogno di questo vuoto.
Meditare il vuoto è scoprire il vuoto dell’essere - ed esserlo.


martedì 26 luglio 2016

Il nucleo centrale

Tutti noi riteniamo di avere un nucleo centrale che rimanga immutato: è la nostra identità.
In realtà, anche questo nucleo cambia, ma così impercettibilmente e lentamente che non ce ne accorgiamo.
La meditazione intensiva mira a distruggere le parti accessorie, le identità fasulle, le paure immotivate e le illusioni infondate per farci vedere quale sia il nostro nucleo.

E poi a superare anche questo vedendolo come parte del tutto.

Sedere in silenzio

In particolare, la mattina appena svegli, quando le onde di pensieri sono più lente, eseguiamo l’esercizio dei ventun respiri.
Proviamo a contare 21espirazioni o inspirazioni, controllando fino a dove arriviamo prima che si formi un pensiero. Sette? Nove?... O, meglio ancora, poiché il contare o il controllare sono anche’essi atti mentali, mettiamo un contaminuti e vediamo quanto a lungo riusciamo a non pensare, a lasciare la mente sgombra.
In fondo, sedere in silenzio (di parole, di pensieri e di atti di volizione) è la base della pratica. Anche quando ci troviamo in un gruppo.

Stare in un gruppo di meditazione senza parlare è un’esperienza di profonda e insolita comunicazione.

La libidine del potere

Un tempo chi voleva esercitare una dittatura, facendo finta di agire per il bene di tutti, istituiva un regime comunista. Oggi, si ricorre ad un metodo ancora più antico: istituire un regime religioso – islamico, induista, cristiano, ebraico o altro. Qui comanda in teoria una dottrina, ma in pratica il potere è di chi la interpreta.
Cambia il nome, ma lo scopo è sempre lo stesso: comandare opprimendo e reprimendo… in nome dell’interesse supremo o di qualche Dio.

Diffidiamo di chi vuol comandare. Domandiamoci: quali sono i suoi interessi personali? Sono ben pochi gli uomini capaci di mettersi al servizio di una comunità senza mettersi al servizio del proprio ego.

lunedì 25 luglio 2016

La meditazione del risveglio

Quando ci alziamo la mattina dopo un buon sonno ristoratore, la nostra mente è più calma, lucida e fresca. L’espressione “mente fresca” indica chiaramente che di solito abbiamo una mente arroventata, una mente che brucia. “Tutto è in fiamme…” dice un famoso discorso buddhista.
Ma, dopo il sonno, la mente è rilassata e ricaricata. Si è immersa in un’altra dimensione e si è liberata da ciò che provoca abitualmente tensione, paura, ansia, speranza, ricordi, fantasie, soliloqui… Vediamo dunque le cose con più chiarezza, anche perché ci siamo per un po’ dimenticati degli schemi ripetitivi, delle domande ansiose, dei pensieri ossessivi, dei desideri che non danno pace e della confusione.
Ecco perché il risveglio è uno dei momenti più favorevoli alla meditazione. La ciclicità della natura ci indica quando è meglio meditare. Poi, svolgendo le attività della giornata, di nuovo la mente sarà attanagliata dalla tensione. Perderemo freschezza e lucidità, e il nostro sguardo si intorbiderà, si ottenebrerà e si affaticherà.

Poiché lo scopo della meditazione è il risveglio, è utile abbinare al risveglio dal sonno notturno il risveglio da una visione condizionata, limitata, dualistica e relativa delle cose.

domenica 24 luglio 2016

Senza senso

Di solito si pensa che il nichilismo consista nel non credere a niente, nel non trovare un senso ultimo alle cose. E viene visto come la peste.
Ma la verità è che le cose non hanno un senso: siamo noi che glielo attribuiamo. Siamo noi che affermiamo che la vita ha questo o quello scopo, che è stata creata da un Dio che pretende da noi certi comportamenti e che un giorno verremo premiati o puniti per le nostre azioni.
Questo significa dare un senso al mondo. Ed è presente in tutte le religioni, anche in quelle che non credono in un Creatore.
Il guaio è che il mondo non lo sa e va avanti senza senso. Si nasce e si muore in un ciclo naturale che appare sempre uguale a se stesso e abbastanza insensato. Lo scopo della vita sembra essere la vita stessa, senza un significato razionale, logico.
Noi siamo abituati a fare le cose in vista di un obiettivo – ma la vita lavora semplicemente per proseguire, per continuare ad affermare se stessa. E non è detto che ci riesca. Perché può bastare un meteorite o uno starnuto del sole per cancellare tutto. In quel caso quale sarebbe stato il senso?
Questa rivelazione del nonsenso della vita prima o poi si affaccia in tutti. E ci accorgiamo allora di aver costruito un mondo di significati (sociali, psicologici, mentali, convenzionali…), che però non hanno un senso assoluto.
Se un meteorite distruggesse due terzi del genere umano, alcuni sopravvissuti direbbero che è stata la punizione di un Dio per i nostri peccati. Ma può darsi che la causa siano stati i moti astrali, la meccanica celeste, priva di qualsiasi senso.
Noi abbiamo bisogno di un senso. Ma la vita non ha questo bisogno.
A questo dobbiamo abituarci: a vivere senza la necessità di un senso, perché sarà comunque così. Vivremo anche se non c’è un senso.

Dobbiamo insomma vedere come lavora la nostra mente, che pretende di dare un senso a tutto, e come lavora la natura, che ha per senso solo se stessa. E capire il senso superiore del tutto. Questo sì che è un bel koan.

sabato 23 luglio 2016

Varie forme di meditazione

Il nuovo talento pianistico della scuola russa, Danil Trifonov, 25 anni, praticante di meditazione e yoga, sostiene in un’intervista che l’essenza della meditazione consista nel “prendere le distanze da sé.” E aggiunge che viaggia nei mondi dei grandi compositori “con esercizi di solitudine, tecnica e concentrazione.”
Ecco un esempio di come si possa fare meditazione nel campo dell’arte.

Ma forse facciamo meditazione – una meditazione istintiva – anche quando prendiamo il sole sulla spiaggia o andiamo a pesca.
Rendiamo più consapevoli queste forme di meditazione.

Predazione

Basta vedere uno di quei documenti della BBC sul modo in cui gli animali (uomo compreso) devono procurarsi il cibo per lasciar perdere ogni idea di bontà e di mitezza.
La vita si basa sulla violenza, sul fatto che ognuno deve divorare gli altri (senza anestesia) per sopravvivere e riprodursi.
Impossibile pensare che tutto questo meccanismo infernale sia stato creato da un Dio perfetto e amorevole.
Questo è il primo insegnamento, la prima lezione.
Togliersi le fette di salame dagli occhi, lasciar perdere le religioni false, le droghe sociali, le razionalizzazioni consolatorie.

Guardare il mondo con occhi limpidi, senza lasciarsi prendere dallo sconforto. Virilmente.

L'interrogativo di fondo

Finché siamo sospinti da ormoni e istinti vari, troviamo un senso nella vita o, perlomeno, non ci mettiamo a cercarlo.
Ma quando questi impulsi vengono meno – per l’età, per le delusioni, per malattie, per disadattamento o per altri motivi – ci poniamo la domanda: “Che senso ha tutto questo rumore, tutto questo ordine sociale, tutta questa violenza?” Allora incominciano i guai: la depressione, la paura, l’odio sociale o qualche fede che non faccia pensare.
L’esperienza dolorosa che facciamo smaschera l’illusione che la vita sia un’esperienza bella, facile, utile, positiva, ordinata.
“Legge e ordine” ce li inventiamo noi. Nella realtà non esistono. Questa è la scoperta che si fa.
In meditazione ci si pone il problema del senso, ma si sa benissimo che questo senso non c’è. La risposta dunque alla domanda esistenziale non sta in qualche senso razionale, ma saltando su un altro livello di comprensione.
Come si fa?
Porre l’interrogativo, trovare la calma e smettere di impiegare le solite categorie di senso, Dio, anima, aldiqua-aldilà, premio-punizione, bene-male, meta, scopo e così via.
Fare una cura di quiete.
Alla domanda della mente si risponde con un diverso atteggiamento dell’essere.



venerdì 22 luglio 2016

Il disturbo religioso

Qualcuno sostiene che il clima psicotico presente attualmente nel mondo islamico favorisca atti estremi e attentati in personalità malate, in individui che hanno già qualche disturbo mentale.
Sarà senz’altro così: le psicosi sociali sono contagiose.

Ma si dovrà riconoscere che la religione stessa – cioè il credere ciecamente a cose non verificate – è già una forma di malattia mentale. 

Sacrifici religiosi: la passione di Dio

Se cerchiamo di capire la logica del sacrificio religioso, comune a tutte le religioni, ci perdiamo di fronte a mille spiegazioni.
Ma la realtà è molto semplice. Era evidente, ed è evidente, che Dio è un grande macellaio, perché adora creare vite per poi sacrificarle.
E, se uno ha questa passione, il modo più sicuro per ingraziarselo è uccidere una vita per offrirgliela in dono.

Gradirà parecchio. E, magari, contraccambierà.

Solo essere

In meditazione si dice che dobbiamo sospendere i pensieri e fare il vuoto della mente, e questa indicazione ci porta a compiere sforzi. Ma non sempre è possibile, perché più cerchiamo di fermare e pensieri, più questi proliferano.
Proviamo allora a fare il contrario: cerchiamo di pensare ininterrottamente. Ma anche qui ci accorgeremo che la mente è refrattaria ad essere imbrigliata e che ci saranno degli intervalli o comunque delle digressioni.
Il problema è che, più che dare ordini alla mente, ci dobbiamo mettere nella posizione dell’osservatore, di colui cioè che osserva tutto ciò che avviene nella mente (pensieri e pause) senza identificarvisi.
In sostanza, non importa se la mente pensi o non pensi. L’importante è che sia attiva la nostra attenzione distaccata, la nostra presenza mentale, che ci sposta per così dire su un altro piano. Noi ci solleviamo al di sopra delle varie attività della mente e guardiamo ciò che avviene.
Smettiamo di alimentare la mente con il nostro coinvolgimento attivo e osserviamola sia che si muova sia che stia ferma.
Nuda attenzione: solo essere.
È così che recuperiamo il nostro sé originario, il “volto che avevamo prima di nascere.”


giovedì 21 luglio 2016

Esploratori mentali

Per sapere che cosa sia la meditazione non c’è che un modo: mettersi seduti e provare ad essere consapevoli, attenti, presenti, calmi e vigili.
Quando ci sediamo in meditazione, i casi sono due: o otteniamo più o meno questo risultato o perdiamo lucidità, presenza e ci sentiamo intorpiditi, assonnati, annoiati, distratti.
Ora, la meditazione è vigilanza e presenza mentale. Se quindi ci sentiamo assonnati, cadiamo nel torpore o non riusciamo a concentrarci, vuol dire che abbiamo fallito.
Ma anche questo risultato può essere utile. Abbassandosi infatti il livello di consapevolezza, ci avviciniamo ad uno stato di torpore che può produrre rilassamento e quiete.
Simili stati di torpore sono utili per esplorare ciò che bolle in pentola e possono riservare scoperte: sensazioni, ricordi, paure ossessive, immagini, ricordi, ansie e così via.

Quando entriamo nell’ottica della meditazione, nessuna esperienza è inutile. Diventiamo degli esploratori. E il campo di esplorazione siamo… noi stessi.

IL Dio impensabile

Secondo i credenti, da una parte Dio dovrebbe essere un padre tutto amore e compassione, ma dall’altra parte dovrebbe anche punire i colpevoli, i peccatori, coloro che infrangono le sue leggi.
Il fatto, però, che possa e debba castigare ci dice che anche in questo Dio della mente umana è presente la cattiveria, il male –il che è inevitabile, dato che il dualismo pervade ogni pensiero degli uomini.
In sostanza, il Dio mentale non può albergare solo il bene, ma anche il suo opposto.
Il che ci conferma che il vero Dio, il Tao, ciò che unisce gli opposti, ciò che è al di là degli opposti, è anche al di là della portata della mente umana.
E, allora, di cosa parlano le nostre religioni?

Di cose umane, troppo umane – come si vede bene.

mercoledì 20 luglio 2016

Senza maestri

Lavorare da soli, senza maestri, non è facile. Ma, a pensarci bene, siamo tutti soli e dobbiamo tutti essere maestri di noi stessi.
Gli altri maestri possono indicarci la via, ma ognuno deve poi percorrerla di persona, facendo la propria esperienza individuale.
Chi si aggrappa ad una religione, ad una tradizione o ad un maestro, in realtà non scoprirà mai niente di suo, non scoprirà mai se stesso.
Guarderà sempre se stesso con gli occhi altrui.
La meditazione è esattamente questo: la scoperta di ciò che siamo veramente e di ciò che è il mondo. E, in questo, ognuno deve procedere da solo.

Nessuno potrà mai sostituirsi a te, neppure un dio.

martedì 19 luglio 2016

Assenza di Dio

Vedendo la fatica, la durezza – talvolta l’eroismo (o forse la cocciutaggine) - con cui si afferma e prosegue la vita sulla terra (quante donne morte, quanti bambini sacrificati, quante fini precoci, quante malattie, quanta precarietà, quanta sofferenza, quante tragedie…), possiamo domandarci: “Ma Dio è il datore della vita, o la vita si afferma contro Dio?”
Un Dio che avesse voluto la vita non avrebbe creato tanti ostacoli.
Oppure, è un Dio che ha dato il “la”, lasciando poi che tutto andasse avanti da solo. Si è assentato.
Certo, non c’è traccia di un Dio solo protettore, di un Dio perfetto che crea un simile disastro..
O forse Dio è esattamente ciò che sperimentiamo e vediamo, incerto anch’esso. Un Dio che emerge.

Inutilmente i teologi hanno gettato la colpa sulle spalle degli uomini. Gli uomini hanno le loro colpe. Ma le hanno perché il marchio di fabbrica è quello che è.

lunedì 18 luglio 2016

Mente zen

Già nelle Upanishad si invitava ad andare al di là delle nostre distinzioni tra bene e male.
Nello stesso senso, il maestro chan Seng-tsan diceva: “Liberatevi della mente che pensa: questo è bene, questo è male”.
Anche un altro maestro chan, Yun-men (Ummon), ripeteva: “Ogni giorno è un buon giorno”.
E Kipling, in una sua famosa poesia, parlando del successo e dell’insuccesso, scriveva: “Tratta questi due impostori nello stesso modo”.
Qualunque cosa succeda, comunque vada, che si vinca o si perda, che ci capiti del “bene” o del “male”, èla nostra mente che alla fine emette i giudizi – e non può che emetterli nella sua maniera dualista. Ma gli eventi in sé, diciamo “agli occhi dell’universo”, non sono né buoni né cattivi.
Il fatto che una gazzella venga divorata da un leone, è un male per la gazzella, ma un bene per il leone. E, agli occhi dell’universo, è certamente ciò che si richiedeva, al di là delle categorie di bene e di male.

Certo, per noi è impossibile avere una tale visione distaccata e imparziale. Ma non è impossibile capirla.

I paradossi della mente

Quando distinguiamo tra Uno e Molteplicità, o quando diciamo che tutto si riduce a Uno, usiamo ancora schemi mentali. L’intuizione magari ci rivela qualcosa, ma non possiamo esprimere il paradosso o la contraddizione con i normali strumenti mentali.
Non c’è che un modo per uscire dall’impasse: fare tacere la mente stessa, non farla dimorare in nessun luogo.
Peccato che noi viviamo e ci esprimiamo sempre nel mondo della mente condizionata.

Eppure, qualcosa dentro di noi riesce a intuire.

domenica 17 luglio 2016

Strategie del terrore

Se l’obiettivo primario del terrorismo è diffondere la paura, trova un formidabile alleato nei mass media, in particolare nella televisione. Dopo ogni attentato, infatti, le televisioni snocciolano ore e ore di noiosissime trasmissioni dove giornalisti ed “esperti” si esibiscono in discorsi vaghi e fumosi. Nessuno sa nulla di preciso, ma in compenso ne parlano. Intanto si trasmettono filmati degli attentati, dei morti, dei feriti e delle devastazioni che contribuiscono a diffondere la paura anche nei più remoti paesi, anche in persone che non ne sapevano nulla.
Come al solito, alla tensione si risponde con la tensione, e così il ciclo si autoalimenta e s’ingrossa come una valanga. La strategia del terrorismo è la strategia della tensione.
Qui ci vorrebbe equilibrio, non l’isteria o la voglia di protagonismo di giornalisti e opinionisti. Qui ci vorrebbe soprattutto la capacità di ricreare armonia e rilassamento – il contrario di quel che vogliono i terroristi.
Rileggiamo il precedente post “Calmare la mente.”

È così che si combatte non solo il terrorismo, ma anche la sofferenza umana.

Il Dio irrazionale

Gli uomini – certi uomini – prima si immaginano un loro Dio, un Dio inesistente fatto a loro immagine e somiglianza,  poi lo invocano perché li aiuti e infine si chiedono perché non intervenga, perché non risponda ai loro appelli; e si sentono traditi, abbandonati.
Ma non sarebbe più semplice ammettere che quel Dio, quell’immagine di Dio era sbagliata?
Prendiamo il caso degli ebrei, che in tutta la loro storia credettero in un loro Dio tribale che li proteggeva, che stringeva alleanze con il loro popolo, che guidava i loro eserciti, che li preferiva a tutti gli altri popoli – e poi hanno subito persecuzioni di ogni genere, culminate nello sterminio nazista.
Chiunque altro, qualunque essere razionale, di fronte a milioni di morti, avrebbe concluso che quel Dio era una fantasia irreale, un sogno della mente. E molti non ci credono più. Ma alcuni, i fondamentalisti, continuano a far finta di niente.
Uno scienziato - e un uomo normale - devono arrendersi all’evidenza: prima formulano un’ipotesi e poi la verificano nella realtà. E se la realtà li contraddice, devono cambiare l’ipotesi.
Ma il fedele oltranzista no. Continua a credere nonostante l’evidenza contraria.

Dobbiamo dunque concludere che questo tipo di fede è un vero e proprio disturbo mentale. Che cosa direste di uno che crede di essere amato da una persona che invece è del tutto indifferente? Come minimo, che è un illuso. Che cosa direste di un individuo che crede di essere il figlio di un certo padre, mentre l’esame del dna lo contraddice? Come minimo, che è un idiota.

sabato 16 luglio 2016

Incominciare a meditare

Se meditare significa sperimentare la vita nel momento presente senza l’interferenza dei pensieri, nel momento in cui scriviamo o riflettiamo su questa esperienza, non la stiamo facendo. Come dicevano i taoisti, “il Tao che può essere espresso non è il Tao.”
Si può viverlo, sperimentarlo, ma non parlarne. Più se ne parla, più ci si allontana da esso. Se pensiamo alla meditazione, come in questo momento, non stiamo meditando.
Se invece ci concentriamo sull’istante presente – il respiro, una sensazione, un suono, una luce, la nostra stessa consapevolezza, il nostro essere presenti, il nostro essere qui e ora… -, in quel momento stiamo meditando, o stiamo cercando di farlo.

Ciò non toglie che anche leggere, ascoltare discorsi sulla meditazione o scriverne possono essere stimoli utili. Perché, se non se ne parla affatto, è peggio: non si incomincia neppure.

venerdì 15 luglio 2016

La fatica di Sisifo

Il mondo è un cambiare, un fluire e un interpenetrarsi continuo. Tanta sofferenza nasce dalla nostra  pretesa che le cose siano distinte, separate e durature.

Ma è una fatica di Sisifo, inutile e dolorosa già in partenza. Destinata al fallimento.

La transitorietà

Ci lamentiamo della brevità dell’esistenza. Ci sembra che sia un semplice lampo, un’isoletta in mezzo al mare. E che la morte sia la parte preponderante. Un istante di essere e un’eternità di nulla…
Ma se tutto è mutevole, effimero, temporaneo e provvisorio, perché mai la morte dovrebbe fare eccezione? Perché non dovrebbe essere uno stato transitorio, come tutto?
Pochi istanti, e poi passa.

Nell’universo c’è una forza che non si spegne mai. Pulsa.

giovedì 14 luglio 2016

Affrontare l'altalena degli eventi

Possiamo sposarci o rimanere scapoli, avere figli o non averne, essere giovani o essere vecchi, essere ricchi o essere poveri, vivere sempre nel nostro paesello o viaggiare di continuo, avere tanti amori o non averne nessuno, avere successo o non averne, vivere a lungo o vivere poco, essere illuminati o persone comuni, abitare in questo pianeta o in un altro, rinascere o non rinascere, finire in un paradiso o in un inferno, essere uomini o essere dei… ma non possiamo sfuggire alla sofferenza. Non c’è stato o angolo dell’universo dove ci si possa nascondere al riparo dal dolore, ovverosia dalla coppia dolore-gioia.
Bisogna capire che, finché durerà il ciclo della vita, ci sarà sofferenza, piccola o grande, continua o estemporanea. Questo è il destino comune di chi vive.
L’unico modo per uscirne definitivamente, dunque, è sfuggire al ciclo della vita, del nascere e del morire.
Di fronte a questa inoppugnabile constatazione, di fronte all’inevitabile dialettica degli opposti per cui non può esistere felicità senza dolore, possiamo cercare di assaporare ogni singolo istante di vita, possiamo farci prendere dalla paura e rinunciare a vivere, oppure assumere un atteggiamento di stoico distacco, guardando l’intero scenario come se si trattasse di una tragicommedia – e magari goderci i pochi momenti in cui le cose ci vanno bene e farci pure una risata.

Già questo ci predispone ad andare al di là degli opposti, cioè ad uscire dal dualismo dell’essere.

mercoledì 13 luglio 2016

Salvarsi dal mondo

La nostra società non favorisce la meditazione, per il semplice motivo che impegna continuamente la nostra mente, le nostre energie e a nostra attenzione. Non vuole che ci distraiamo e ci distacchiamo. Ogni giorno ci richiede un impegno e un’adesione ai problemi.
In questo modo, è come se le nostre menti e le nostre stesse volontà fossero sempre pilotate dall’esterno. Basta esaminare ogni tanto lo stato della nostra mente: in che cosa è impegnata?
È sempre impegnata in qualcosa: non solo dobbiamo risolvere mille problemi pratici, ma ci mettiamo a riflettere, a ricordare, a preoccuparci, a soffrire d’ansia, a chiacchierare mentalmente, a prevedere, a calcolare e a fantasticare.
Per uscire da questa situazione (che diventa stressante e coinvolgente in modo totalizzante), dobbiamo periodicamente, durante la giornata, fare il punto della situazione. In che condizione si trova la mia mente? In che cosa è impegnata? Qual è il mio stato d’animo?
Ci si renderà conto, allora, che siamo sempre sotto pressione e che veniamo pensati anziché pensare.
Dobbiamo dirci: “Basta! Stop! Devo ricuperare un attimo di tregua, un attimo per me stesso!”
Usciamo dalle preoccupazioni che siamo indotti a rimuginare. Guardiamo fuori dalla finestra, concentriamoci sulla sensazione fisica del respiro, fissiamo a occhi chiusi un punto immaginario.
Prima pensiamo a come siamo condizionati dal mondo esterno e da noi stessi, e poi pensiamo allo stato meditativo.
Infine, cerchiamo di passare dal semplice pensare allo stato meditativo alla sua effettiva esperienza. È una questione di salvezza, non in senso etico o religioso, ma in senso pratico.

Salviamoci dalla piovra che divora il nostro tempo e le nostre energie. C’è un’altra dimensione a cui possiamo accedere.

martedì 12 luglio 2016

Come meditare

Per sapere come meditare, dobbiamo prima capire che cosa sia meditare; e, poiché l’intelletto non è adatto a capire ciò che mira a superarlo, cerchiamo di comprendere che cosa non sia meditare.
Quando ci sediamo e cerchiamo di restare immobili, quieti e in silenzio, in realtà non siamo ancora in meditazione. Perché la nostra mente si mette a pensare, a riflettere, a ricordare, a immaginare, a fantasticare, ecc.
La meditazione è un’altra cosa: è cercare di smettere tutta questa attività mentale, in modo che fra noi e le cose non ci sia lo schermo della mente che interpreta, divide e distorce.
Se cerchiamo di concentrarci su una sola cosa: una luce, un suono, il respiro, un’immagine, la nostra stessa consapevolezza  o il nostro essere, facciamo un passo in avanti perché riduciamo le molteplici attività mentali ad una sola.
Già questo è difficile, anche se è sempre possibile farlo nella vita comune, come quando ci concentriamo fortemente su un’unica attività. Può essere un problema che dobbiamo risolvere o un’attività naturale come il sesso. In questi casi, siamo fortemente motivati alla concentrazione e gli altri interessi spariscono.
Ma in meditazione dobbiamo fare un ulteriore passo: dobbiamo introdurre una motivazione di volontarietà e dobbiamo perdurare più di qualche secondo.
Il problema è che la nostra mente è fatta per muoversi e per divagare, e, se non c’è un particolare interesse, non ama la concentrazione.
Dobbiamo dunque ricordarci che ciò che cerchiamo è di vitale importanza, non un gioco mentale. Dobbiamo tener presente che cerchiamo di uscire dai condizionamenti abituali e che la meta che ci attende è la liberazione e la visione della verità-realtà.
Per capire come e che cosa fare, proviamo a concentrarci il più a lungo possibile, con gli occhi chiusi, su un punto immaginario verso la punta del naso (con sensibilità del passaggio del respiro attraverso le narici) o verso il centro della fronte.
Verifichiamo per quanto tempo riusciamo a non divagare con il pensiero.


lunedì 11 luglio 2016

Calmare la mente

Se dicessimo che lo scopo della meditazione è calmare la mente, forse deluderemmo qualcuno che immagina visioni soprannaturali e unioni mistiche.
Ma, se ci riflettiamo bene, calmare la mente non è cosa da poco. Innanzitutto, la mente non è solo l’intelletto o la parte razionale, ma è tutto ciò che siamo, il nostro stesso essere così com’è caratterizzato.
Quindi, calmare la mente è già vivere su un piano diverso, non più rosi da preoccupazioni, ansie e speranze. È vivere distesi, lucidi, ben presenti.
Calmare la tensione esistenziale è dunque un grande obiettivo, una forma di sollievo dalle pene della vita.
Quando si è agitati, l'esistenza è una continua sofferenza, è trovarsi in balia di forze incontrollabili che ci muovono come pupazzi.
Quando invece si è calmi, siamo in armonia con il tutto, con le forze della natura, e tutto è più accettabile, anche la morte.
Calmare la mente è insomma liberarsi da un enorme peso.

Coltivare la tranquillità è già vincere a metà la battaglia della vita.

domenica 10 luglio 2016

Lo specchio del reale

Il nostro pensiero non è affatto lo specchio del reale, ma una sua rappresentazione, una sua interpretazione.
Infatti, la mente, per conoscere, deve dividere, confrontare, simboleggiare e dunque limitare.
Per conoscere direttamente le cose, è necessario non pensarle, restando presenti e concentrati.
Dobbiamo in un certo senso ridurre e sospendere il pensiero, lasciando solo la pura attenzione.

Finché guardiamo in uno specchio, vediamo riflessi e immagini, più o meno deformati. Per vedere direttamente le cose, buttiamo via lo specchio.

La tragedia dell'uomo

La tragedia dell’uomo è che crede di essere “colui che pensa,” mentre sarebbe meglio dire che è “colui che viene pensato.”
Noi infatti abbiamo un controllo minimo sui nostri pensieri, che proliferano praticamente da soli, in un flusso continuo e caotico. Solo se ci concentriamo su un problema specifico, riusciamo per un po’ a indirizzare il pensiero dove vogliamo. Questo ci dice l’importanza della concentrazione.
E, se non riusciamo a scegliere i nostri pensieri, figuriamoci se riusciamo a non pensare.
Insomma, se la gloria dell’uomo è il pensiero, si tratta di una gloria in gran parte immeritata.
Eppure è proprio questo che dobbiamo fare. Primo, dare un ordine ai pensieri sparsi, che sono in realtà suscitati da mille condizionamenti, esterni ed interni. E, secondo, riuscire a fermarli.

Chi padroneggi questa capacità, ha in mano il mondo – tenuto conto del fatto che il nostro modo di vedere il mondo è in stretta dipendenza dal nostro modo di pensarlo.

sabato 9 luglio 2016

L'origine della violenza

Noi ci crediamo i re della Terra e, in effetti, siamo gli esseri più dotati di coscienza e di potenza.
Ma nessuno può assicurarci che questo sviluppo della coscienza e della potenza sia davvero un salto in avanti o un errore evolutivo. Già in passato varie linee evolutive si sono rivelate sbagliate e si sono estinte.
In fondo, la vita degli animali meno “evoluti” appare molto più in armonia con la natura, priva di quelle ansie, di quelle paure e di quelle violenze che sono tipiche degli uomini. Come diceva Nietzsche, l’uomo è un animale malato.
Non basta essere più coscienti o più intelligenti, non basta aver costruito aerei e computer, non basta essere volati nello spazio, non basta avere concepito scienze, filosofie, religioni e arti.
Ci vuole un salto ulteriore: trasformare tutte queste conoscenze in saggezza.
I segni di follia dell’uomo sono sotto i nostri occhi. Ci si ammazza perfino in nome di Dio, per un diverso colore della pelle o per questioni ideologiche. E nessuno è più feroce dell’uomo verso l’uomo stesso.
L’allontanamento dalla natura ha creato squilibri che sono insanabili. Ma verso quale altra natura ci dirigiamo?

Più l’uomo si evolve, più perde di vista l’unità del tutto e più da importanza al proprio ego. Non è qui l’origine d’ogni violenza?
E se l'origine dì ogni violenza sta in questa separazione dalla natura, dagli altri e da se stessi, sappiamo anche quale sia la cura della malattia: recuperare l'unità del tutto in sé.

venerdì 8 luglio 2016

Il cerchio e la retta

Creare per distruggere, far nascere per far morire, far uscire per far rientrare, dividere per riunire, espandersi per contrarsi, moltiplicarsi per far tornare tutto a uno… non sembra che questo tiramolla divino abbia un senso. E non lo ha.
Il problema è che, per noi, “avere un senso” significa avere una direzione e quindi seguire un percorso più o meno lineare. Mentre qui abbiamo a che fare con un percorso circolare.
E un percorso circolare non ha né un inizio né una fine. In tal senso è infinito.

Erano i taoisti, con il loro yang-yin, che erano più vicini alla realtà del processo divino, il Tao.

Il Dio della mente

È facile dimostrare che Dio, così com’è pensato nelle religioni, non è che una proiezione delle menti umane. Da una parte, infatti, viene concepito come l’Onnipotente, l’Assoluto, la Suprema Autorità dotata di quegli attributi che noi associamo alla nobiltà e la potere.
Ma, dall’altra parte, ecco spuntare il Diavolo, il Demonio, che è a sua volta la proiezione delle parti peggiori dell’uomo.
Insomma, il dualismo della mente umana finisce per proiettarsi in cielo, distruggendo l’unità di Dio.

Questo non significa che non esista nessun Dio. Ma che bisogna saper distinguere fra le nostre proiezioni e la Realtà Ultima, che non ha caratteristiche umane.

giovedì 7 luglio 2016

La verità e le opinioni

Dentro di noi siamo convinti di dover cercare la verità, l’illuminazione, Dio e così via. E, per trovare questa verità, siamo convinti di dover prendere in considerazione varie opinioni e poi scegliere quella giusta.
Ma, prima di cercare e scegliere, sarà meglio per un po’ di smettere di nutrire opinioni e di costruire teorie.

La verità-realtà, infatti, non è un’opinione fra le altre, un’idea che ci dobbiamo formare, ma ciò che appare quando smettiamo di elaborare pensieri – e quindi di isolare, dividere, contrapporre e scegliere.

Lo specchietto delle allodole

Abbiamo paura della morte perché siamo convinti che questa sia la vita.
Ma riflettiamo su una frase famosa di Hui-neng, uno dei patriarchi dello Zen: “Fin dall’inizio nessuna cosa è”.
Significa che ciò che crediamo reale non è che un riflesso, un gioco illusionistico di luci e di ombre, che presto sparirà.
Sparirà il riflesso lasciandoci ciò da cui proviene.
È come essere abbagliati da una macchia di luce lanciata da uno specchietto. E poi scoprire che era solo un riflesso.
Nessun riflesso può esistere in sé.

Fin dall’inizio non aveva un’esistenza autonoma: dipendeva da ciò da cui è scaturito.

mercoledì 6 luglio 2016

Il senso del risveglio

Nella meditazione dobbiamo assumere in atteggiamento impersonale, anche perché è esattamente in questo senso che procede il risveglio. Non il potenziamento dell’ego, ma la sua apertura ad una dimensione più ampia, sempre meno individuale.
Non si ottiene insomma la saggezza solo per se stessi. È un lavoro che viene svolto nell’interesse generale.
Resta sempre un io, ma un io sempre più universale.
D’altronde l’atteggiamento impersonale è l’unico che garantisca obiettività ed equanimità, l’unico cui sia garantito l’assenso del Tutto.

Il senso del risveglio è un’apertura, un’espansione, del piccolo io.

martedì 5 luglio 2016

Andare oltre

Noi sappiamo benissimo che i nostri sensi sono limitati e ci danno una determinata immagine della realtà. I cani, per esempio, percepiscono molti più odori e gli uccelli vedono molto più lontano di noi.
Dunque, l’immagine che abbiamo della realtà non può che essere limitata e condizionata.
Ma non riflettiamo mai abbastanza sul fatto che anche il nostro intelletto è altrettanto limitato e condizionato. Se, dopo l’uomo o su un altro pianeta, ci fosse un altro essere più evoluto, avrebbe un’immagine diversa della realtà, una comprensione più vasta.
Dobbiamo insomma diffidare delle nostre conoscenze e cercare di andare oltre.
Purtroppo, la maggioranza degli uomini si accontenta di quelle quattro idee che ha in testa e, immedesimata com’è nella quotidianità, non alza mai la testa a guardare più in là.

Per farlo, è necessario fermarsi un po’ e guardarsi intorno, smettendo di fare i protagonisti della solita commedia.

lunedì 4 luglio 2016

Il nulla e l'essere

Se dopo la morte non c’è più niente, non abbiamo neppure niente da temere. Il nulla non è il peggio.

È la continuazione dell’essere che può dare il peggio.

Il Dio delle religioni

Quella di Dio è un’ipotesi come tutte le altre, che non può essere né dimostrata né confutata. Ma noi non possiamo sapere come è fatto questo Dio.
Ciò di cui siamo sicuri è che, essendo trascendente, non ha fondato nessuna di queste meschine e violente religioni che asfissiano il mondo.
Se ci eravamo illusi che non si uccidesse più perché non si sanno recitare a memoria versetti del Corano o perché si è vestiti con abiti occidentali, ci dobbiamo ricredere. L’Islam radicale sta dando uno spettacolo mostruoso di che cosa sia il fondamentalismo religioso.

Ma anche le altre religioni, se grattiamo la sottile verniciatura aggiunta dalla modernità, dalla democrazia e dal laicismo, lasciano intravedere la loro origine barbarica, il loro cuore di tenebra. 

Il karma della Terra

Se l’effetto negativo delle azioni malvagie e l’effetto positivo delle azioni buone ritornasse sempre anche a colui che le provoca, saremmo sicuri che il mondo è giusto e che ha un senso morale.
Ma, nella vita, questo meccanismo non è visibile. Per esempio il criminale vive fino a cento anni e apparentemente senza dramma di coscienza. Dunque, per parlare di un universo etico, dobbiamo o postulare l’esistenza di un Dio che premia e castiga o postulare una legge delle reincarnazione che spiegherebbe almeno il mistero delle sofferenze dei bambini e degli innocenti.
Resta il fatto che chi nasce su questa terra non è un’anima innocente, ma un’anima già pesantemente condizionata. E questo è visibile.
Il calcolo delle conseguenze e degli effetti è comunque troppo complicato: ci vorrebbe un supercomputer che tenesse conto di ogni minima azione e reazione.
E, quindi, ciò che noi concludiamo su questo argomento dipende più dalle nostre intuizioni e dalle nostra psicologia che dalla nostra logica… tutte cose a loro volta fortemente condizionate.

Tutto è un unico flusso di coscienza e di processi interconnessi che è dormiente nei minerali, sveglio nei vegetali, mobile negli animali e autocosciente negli uomini.

domenica 3 luglio 2016

Calci di rigore

Come se tirare un rigore imparabile non fosse questione di concentrazione e di disciplina interiore…

Non c’è campo in cui le tecniche di sviluppo mentale non trovino applicazione.

Quando muore il desiderio personale

Tutti vorremmo sopravvivere in qualche modo, magari come puri spiriti. Anche perché, senza un’anima, come potrebbe esserci un meccanismo di punizione-ricompensa?
Questo non significa che dovrebbero esistere paradisi e inferni, ma che ogni azione ha comunque una conseguenza, qui o altrove. Benché non si possa essere sicuri che la conseguenza sia individuale, sappiamo che c’è. Ognuno butta nel calderone generale la propria parte: ecco il nostro contributo.

Solo il saggio capisce che sarebbe meglio non contribuire affatto o contribuire a far raffreddare il calderone e, quindi, a non desiderare più la sopravvivenza ad oltranza dell’individuo.

L'occhio della Prajna

Finché il nostro sguardo non si fa distaccato e impersonale, come quello di uno scienziato, finché restiamo immischiati nelle tragicommedie della vita, non riusciamo a comprendere.
Dobbiamo fare un passo indietro e osservare l’intero panorama, con noi dentro. Dobbiamo per così dire spersonalizzarci, de-individualizzarci, per ritrovare lo sguardo della trascendenza e dell’obiettività.

Questo “sguardo di saggezza” non è più la nostra consapevolezza, ma la consapevolezza che l’Essere ha di se stesso in noi.

Esercizi non spirituali

Non appena ci si trova di fronte alla realtà dei preti pedofili, ci si accorge subito che la Chiesa continua a fare ostruzionismo e che, nonostante tutti i suoi nobili discorsi, non s’interessa minimamente alle piccole vittime. Per esempio, in questi giorni, un importante esponente di Comunione e Liberazione, nonché fondatore del Banco alimentare, rettore del Liceo linguistico di Cremona e parroco della Chiesa della Santissima Trinità, Mauro Inzoli, è stato condannato a quattro anni e nove mesi per abusi su cinque minori (dai 12 ai 16 anni). Dovrà inoltre risarcire le vittime con 25.000 euro ciascuna. Esistono però altre quindici vittime, per i quali gli stessi reati sono caduti (assurdamente, per la legge italiana) in prescrizione.
Ora, sia Ratzinger sia Bergoglio avevano dichiarato tolleranza zero di fronte a questo tipo di reato dei sacerdoti, tanto che, dal 2004 al 2013, ben 884 preti erano stati sospesi a divinis. Ma questa volta no: benché Ratzinger avesse deciso di ridurre allo stato laicale don Mauro Inzoli, ribattezzato “don Mercedes” per la sua passione per le auto di lusso, Bergoglio ha cambiato idea: il reo dovrà limitarsi ad una “vita di  preghiera e di umile riservatezza, come segni di conversione e di penitenza.” Insomma, aria fritta.

Come mai tanta mitezza? Forse non bastavano diciannove vittime? O forse la potenza e la ricchezza di Comunione e Liberazione hanno toccato il papa argentino?

sabato 2 luglio 2016

L'annebbiamento mentale

La verità-realtà non è qualcosa che ci sia stata detta in passato o che ci sarà rivelata in futuro. È sempre qui e ora. Tutto dipende dalla chiarezza dello sguardo di chi scruta.
Illuminarsi è vedere chiaro, magari più chiaro.
È come trovarsi immersi nella nebbia, e, all’improvviso, la nebbia si dirada o addirittura trapela un raggio di sole.
In quel momento vediamo cose che non prima non vedevamo chiaramente o non vedevamo affatto. Ma che erano sempre state lì.
Era la nostra vista che era annebbiata, o per cause esterne o per cause interne.

Fra le cause esterne ci sono tutte le attività di questo mondo e fra le cause interne i pensieri e le preoccupazioni. Tutto ciò ci riempie la testa di nebbia e ci impedisce di veder chiaro.

L'egoismo del benefattore

Fare del bene, fare beneficenza non è difficile: basta avere la volontà e i soldi. Ma bisogna vedere le motivazioni. C’è chi la fa per essere stimato, chi per un dovere religioso e chi per avere una ricompensa nell’aldilà. Ed è ovvio che chi è ricco ha più possibilità e meno meriti.
L’autentica motivazione, però, ha un’altra causa: nasce quando ci si identifica con gli altri, quando si capisce e si sente che abbiamo tutti un’unica origine e un’unica natura.
È noto che i criminali non hanno questo tipo di sensibilità. Possono sfruttare, torturare e uccidere perché non riconoscono la comune umanità, perché non vedono gli altri come se stessi.

Finché non si arriva a questa presa di coscienza, la motivazione sarà sempre egoistica. Senza speranza.

venerdì 1 luglio 2016

I Signori del mondo

Dice il Dhammapada, la nota scrittura buddhista: “Il sé deve essere il Signore del sé; quale altro Signore dovrebbe esserci?”
In effetti, chi cerca “Signori” già si predispone ad essere sottomesso, ad essere uno schiavo; e, quindi, come potrebbe aspirare alla liberazione, cioè alla completa emancipazione?
Ma non è finita qui: perché ci dev’essere comunque un Signore… seppur di se stessi? Non sarebbe meglio che anche il rapporto fra sé e sé non fosse dominato da nessuno? Che non si riducesse ad un rapporto tra dominante e dominato?
Se non vuoi essere dominato, non devi neppure voler essere un dominante.
Anche quando Gesù dice: “Sia fatta la tua volontà, non la mia” non vuole indicare che ci sia un Padre-Padrone dell’universo, un’unica universalità, una Singolarità che domina tutto, ma vuole indicare la volontà del tutto.
Spersonalizziamo Dio, togliendoli ogni antropocentrismo e ogni connotazione mitologica.
Dio non è un Capo che comanda, ma è più simile ad una rete, dove ci sono tanti nodi e nessuno che controlli tutti.
Ci vuole democrazia anche in cielo.

Purtroppo, la nostra concezione di Dio risale ad epoche in cui esistevano i Monarchi assoluti, i Despoti, i “Signori” appunto.