martedì 26 novembre 2024

La coscienza come limite

 Di solito noi ci gloriamo di essere dotati di una coscienza ben superiore a quella degli altri animali. Ma ho già notato che la coscienza, con la sua indispensabile dualità, può essere vista come una scissione dell'unità di base e addirittura una degenerazione o una limitazione dell'essere.

In fondo, se siamo spesso infelici, lo dobbiamo proprio a una coscienza che sta a indicare una divisione più che una completezza.

Perché essere coscienti è essere divisi in almeno due soggetti: il sé osservante e il sé osservato. Ma così abbiamo perso l'unità originale del Sé. Non per nulla, la nostra ricerca successiva è la ricerca del Sé originale e unitario, o più unitario.

Essere coscienti significa essere coscienti di essere divisi e di essere per ciò infelici. Non si scappa. Non c'è una coscienza felice, se non per quei brevi attimi in cui crediamo di aver trovato l'unità, con qualcun altro e quindi con noi stessi.

Se andiamo cercando qualcosa, vuol dire che ci manca sempre qualcosa. 

L'amore dovrebbe essere questo: il ritrovamento della parte mancante. Ma, siccome la parte mancante è la nostra completezza, sperimenteremo prima o poi che nessun altro può darcela... se non noi stessi.

Cercare il Sè, trovare il Sé autentico è ritrovare quel Sé che abbiamo perduto con la nascita della coscienza.

Pensiamo all'evoluzione del bambino: si era abituato a vivere beato nel ventre della madre, poi viene espulso e si mette a piangere disperato. E continua a farlo per i primi anni di vita. Quindi trova nella madre che lo accudisce il primo amore. E da quel momento, rendendosi conto che non può sempre restare attaccato alla madre, incomincia il distacco e la ricerca di un altro amore unitivo. 

Ma l'unità con l'altro è pur sempre un'illusione passeggera, non realizzabile incondizionatamente. 

Che cosa allora gli rimane da fare? Cercare la vera unità con il Sé, che purtroppo è impedita dalla divisione della coscienza.

In questa ricerca, la coscienza è più un intralcio che un aiuto. Sentendo questo, molti cercano l'annullamento della coscienza, magari nell'alcol, nella droga, nella follia o nella morte...

Il vero problema è questo: come ritrovare l'unità perduta trascendendo la coscienza senza distruggersi. Perché, con la coscienza siamo infelici e senza la coscienza non siamo nulla.

Allora, che cosa significa trovare il Sé se non risanando la frattura iniziale, genetica?

Ma come si può risanare una frattura, se non tenendo uniti e fermi i due tronconi, sperando che la natura faccia il suo corso e li riattacchi?

Però non è facile, visto che siamo circondati e infiltrati da strutture duali.

E' difficile vedere una terza via o una nuova sintesi tra bene e male, tra attaccamento e distacco, tra divisione e unione, tra coscienza e incoscienza, tra pieno e vuoto, tra sé e sé ecc. 

Di solito oscilliamo tra un estremo e l'altro, cercando di posizionarci in una via di mezzo, in un equilibrio tra opposti. Ma l'equilibrio è sempre instabile.

Dunque, che cosa ci rimane da fare? Invece di cercare nell' altro una fusione impossibile, cerchiamo di diminuire la frattura della coscienza, pensando che siamo già noi stessi e che la coscienza ce ne allontana, invece che unirci.




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