giovedì 31 ottobre 2019

La vita drogata: il mal di vivere


Ho visto alla televisione una trasmissione sulla diffusione della droga tra i giovani e ho notato che nessuno si è mai chiesto perché la gente sia così infelice da doversi drogare. Nel buddhismo si dà per scontato che la vita sia sofferenza e quindi non ci si domanda perché gli uomini siano per lo più infelici. Ma nei nostri ingenui paesi occidentali ci poniamo la meta di essere tutti felici e perciò ci stupiamo che la sofferenza sia così intensa. Per noi la vita è un dono, una meraviglia e un dovere – e l’infelicità viene considerata un’eccezione e quasi una malattia. La verità è che, nonostante tutti i nostri progressi scientifici, medici e tecnologici, la sofferenza è ineliminabile.
Vivere è difficile e doloroso – questa è la verità che si vuol tenere nascosta. La vita non è sempre un dono gradito – un dono che oltretutto ci viene chiesto indietro. E finisce sempre male… con la vecchiaia, la malattia e la morte.
Per vivere bisogna spesso drogarsi in qualche modo. Nel nostro sangue scorrono già droghe naturali di ogni tipo (ormoni, ecc), proprio per ovviare alla sofferenza di certe situazioni o periodi. Ed è quanto mai ovvio cercare altre droghe, naturali o sintetiche. Finché non prenderemo coscienza di questo dato di fatto e non smetteremo di decantare il dono della vita, continueremo a domandarci perché siamo così infelici.
Lo siamo perché la vita è stata concepita per perpetuarsi a qualsiasi costo, indipendentemente dalla soddisfazione degli individui. Gli individui sono soldatini di una guerra che prevede comunque la loro distruzione, sono tessere di un mosaico in cui la felicità dei singoli (sessuale o altro) è prevista solo per poter mantenere la specie. Per il resto non è prevista nessuna felicità. Crescete, lavorate, riproducetevi e poi toglietevi di torno! Volete anche essere felici?
Naturalmente non siamo tutti uguali e non abbiamo tutti la stessa dose di infelicità. La saggezza, l’esperienza e i sistemi sociali ben organizzati possono far diminuire le sofferenze inutili. Ma non dobbiamo farci illusioni. Proprio nei paesi più sviluppati c’è il maggior numero di suicidi dei giovani.
La mente è la più grande creatrice di infelicità… e di felicità. E con la sua conoscenza e il suo controllo possiamo incominciare ad eliminare tante convinzioni e abitudini non solo inutili ma anche deleterie per il nostro precario benessere.

mercoledì 30 ottobre 2019

Gli interpreti di Dio


È un'antica pretesa quella dei sacerdoti di essere mediatori tra l'uomo e Dio. Un'idea curiale, burocratica e gerarchica... sostenuta ovviamente da una casta che in tal modo ottiene una funzione, un riconoscimento e una ricompensa. Nell'India antica esistevano i brahmani, i quali affermavano che il rapporto con il divino e anche l'ordine sociale dipendessero dai loro rituali. Oggi, questa concezione è ancora presente nel cristianesimo, dove il prete si pone come l'unico interprete autorizzato della volontà divina.
       Non a caso ritroviamo alti prelati in tutte le cerimonie pubbliche, a fianco delle autorità statali.
       Il cattolico si rivolge al prete un po' come si rivolge ad un patronato. Spera di essere trattato con più considerazione e con più cura; e spera di poter mercanteggiare meglio.
       Ma domandiamoci: che bisogno c'è di ricorrere a sacerdoti e a rituali per rivolgersi a Dio? Chi ci vieta di farlo direttamente, in prima persona? Crediamo che Dio sia una specie di Papa con tutta la sua corte, che bisogna ingraziarsi?
       Non a caso nel cattolicesimo si parla di gerarchie divine o di gerarchie angeliche. Idee che furono riprese da san Tommaso e dalla scolastica.
       Ma chi ci ha messo in testa un'idea del genere?
       Dio non solo non è un Potere esterno. Addirittura è... ciascuno di noi. Ma, poiché non ne siamo consapevoli, ci rivolgiamo prima all'esterno e poi ad un mediatore. E rivolgendoci all'esterno e a un mediatore, ecco che manchiamo completamente il divino. Siamo irrimediabilmente divisi da Dio. Cioè, è Dio che si divide da se stesso.
       Così ci toccherà rimandare tutto al prossimo giro. Cioè, Dio dovrà rimandare tutto al prossimo giro. Tempo perso.
       Questa storia dei mediatori e degli interpreti è il principio di ogni alienazione. Quando vi rivolgete a vostro padre o a vostra madre – o a voi stessi – avete bisogno di un mediatore? Neppure Gesù la pensava così:

       Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto…” [Matteo 6, 5]

          Se questo è vero per la preghiera, figuriamoci per la meditazione, dove il divino non è qualcosa che sta in un regno celeste ma esattamente nel centro di te stesso.

       Dio è il centro dell’anima” diceva san Giovanni della Croce.

Le gerarchie, le chiese e le burocrazie servono solo ad allontanarti da te stesso e dal divino che è in te stesso.


martedì 29 ottobre 2019

Il Dio di Gesù


I Vangeli cercano di presentarci Gesù come l'agnello di Dio che viene immolato per la salvezza di tutti. "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" Giovanni 1,29. Certo, questo era l'unico modo che avevano per giustificare quello che obiettivamente appare come il fallimento di Gesù – uno che credeva in un intervento del Padre eterno.
       Ma resta il fatto che il Dio in cui credevano quegli uomini era ancora quello barbarico dei sacrifici di sangue, quello degli animali o degli uomini immolati per placare l'ira di Dio. Era una visione arcaica e sanguinaria.
       Visione arcaica e sanguinaria che purtroppo contraddistingue ancora il cristianesimo, che appare una religione vecchia, una religione materialista, un corpo estraneo nel mondo moderno, non all'altezza dei tempi.
Il Dio di Gesù sarà anche un padre, ma un padre di più di 2000 anni fa, uno che comanda a bacchetta e che vuol decidere della vita e della morte dei figli. Lo vediamo in tante parabole dove si presenta come un amministratore, un giudice, un mercante, un banchiere, un sovrano, un padrone dispotico.
Non lascia libertà ai figli, non li consulta, decide tutto lui. Chi si sottomette lo ammette alla sua corte, ma per chi si ribella c’è solo la punizione.
Certo è un po’ meglio di quello squilibrato della Bibbia ebraica. Ma ha ancora quelle radici. Che non sono una meraviglia di liberalità e di democrazia.
       Una delle grandi colpe del cristianesimo è proprio questa: di tenere la mente di tanti uomini immersa in idee obsolete sul divino, idee legate all’autoritarismo. Non è un caso che i fascismi rinascenti degli occidentali si dichiarino tutti cristiani. Trovano in quella antica immagine di Dio la sponda giusta.


La via spirituale


Gli uomini si trovano a vari livelli di evoluzione. Ci sono quelli che sono totalmente identificati con ciò che fanno e con ciò che pensano, ossia con l'esistenza terrena, e ad essi sarebbe inutile parlare di spiritualità o di trascendenza, perché non ascolterebbero nemmeno; hanno altre cose da fare: devono pensare a far denaro, a fare figli e a diventare qualcuno. Tutt’al più credono o non credono in un Dio creatore e in qualche religione, ma non mettono in discussione nulla e non cercano.
Poi ci sono quelli che hanno compreso di essere soltanto fenomeni transitori e illusori, ma che pensano di non poter far nulla per cambiare la situazione. Anche loro si affidano a qualche vago Dio o al niente.
Quindi ci sono coloro che vorrebbero fare qualcosa e che si impegnano con questa o quella pratica. E naturalmente ci sono coloro che si trovano a innumerevoli livelli intermedi.
       Quando si capisce che il mondo è una specie di fantasma e che la vita è una specie di sogno, ci si trova in realtà all'inizio del percorso. Questo è il punto di partenza: il senso di irrealtà, il senso di insoddisfazione, il dubbio, capire che la felicità non può consistere nell'avere il maggior numero possibile di cose.
       Una volta raggiunto questo barlume di comprensione, il cammino è avviato. Potranno esserci deviazioni, soste, ritardi, ripensamenti ed errori, ma la via è segnata: non si potrà più tornare a quella grezza concezione di un mondo soltanto materiale, in cui bisogna arraffare il più possibile. Si è capito che la nostra realizzazione non avverrà mai a quel livello, ma che è necessario sviluppare una visione spirituale delle cose.
       Per andare avanti su questa strada, ci vorrà forse una vita intera... o anche più vite. Però il dado della trasformazione è tratto.
Nessuno è in grado di sapere nulla con certezza. Ma la psicologia e la meta di chi ricerca sono profondamente diverse e rappresentano una spinta che non finisce più. E che impegna la terra e il cielo.
Ci vorranno secoli o millenni, ma alla fine tutti si incammineranno su questa via.


lunedì 28 ottobre 2019

Il distacco


Il distacco è fondamentale sulla via. Perché è il segno che l'individuo si rende sempre più conto di essere un'entità illusoria ed è sempre meno condizionato dalle passioni e dagli interessi del mondo.
       Con il distacco, l'uomo vede più obiettivamente se stesso e gli altri, capisce la tragicommedia del mondo, prende le distanze dal futile gioco sociale ed entra nel mondo della spiritualità. E così incomincia anche a indagare sulla propria reale consistenza, su ciò che dà una vera felicità.
       L'uomo non evoluto, invece, si illude ancora che la felicità sia data dagli oggetti materiali, dalla ricchezza e dal piacere più o meno durevole.
       Il distacco accresce la ricerca spirituale e la ricerca spirituale accresce il distacco.
       In un individuo, il distacco è segno sicuro della presenza della dimensione spirituale.

Il potere della coscienza


Noi crediamo che il nostro io sia realmente esistente come un oggetto qualsiasi. Ma, a parte il fatto che anche gli oggetti più solidi non sono che balletti di atomi, il nostro io è semplicemente uno stato della coscienza. Certo, questo stato è legato ad un corpo, ma il corpo a sua volta è una danza di elettroni, ben poco consistente e duraturo.
       Quando ci addormentiamo in un sonno senza sogni, dove va a finire il nostro io? E quando muore anche il corpo? In realtà, quando non c'è una mente che lo pensa, l'io semplicemente non c'è.
       L'io o il sé è dunque un concetto della mente, tant'è vero che uno schizofrenico, che ne ha due o più, li ritiene tutti veri. E anche noi, quando sogniamo di essere qualcun altro, lo riteniamo perfettamente reale.
       Ma la sostanza dell'io è quella di un'idea della mente - un'idea più o meno provvisoria e illusoria.
       Questa constatazione ci dice però anche qualcosa di positivo: se infatti l’io esiste in quanto è pensato in un certo modo dalla mente, basta assumere un diverso stato della mente per cambiarlo, per avere un altro io.
       Ciò che la coscienza ha montato, la coscienza può smontare.

Disconosci te stesso


Tanta fatica per scoprire chi siamo a livello psicologico per poi comprendere che siamo comunque imprigionati in una gabbia che non ci permette libertà di cambiamento. Se fosse davvero possibile conoscerci completamente, senza lasciar fuori niente, ci scopriremmo del tutto determinati. Ma, per fortuna, non è possibile. Non tutti i pezzi sono nelle nostre mani. Una parte non è conoscibile, perché noi siamo interdipendenti.
Dunque è bene non potersi conoscere completamente. La parte che resta inconoscibile è quella che ci permette di cambiare. E, se non potessimo mai cambiare, saremmo semplici robot.
Tanti sforzi per conoscerci per poi scoprire che è necessario lasciar perdere o trascendere quel piccolo io che avevamo scoperto. La cosa conosciuta, la cosa inquadrata è una cosa morta.
Va dunque aggiornato il “conosci te stesso”. Conosci che il tuo io è insufficiente e superalo.

domenica 27 ottobre 2019

La ricerca meditativa


La ricerca del Sé ha poco a che fare con la ricerca psicologica, perché, mentre questa seconda è un'analisi della mente, la prima vuol andare al di là della mente. In tal senso la ricerca spirituale incomincia quando finisce la ricerca psicologica, quando si vuole uscire dai limiti dell'io empirico.
       Il Sé o l'Io spirituale non è il sé o l'io psicologico, ma la sua sorgente, che non ha niente di determinato e di finito. Questa Sorgente si trova là dove cessano i concetti, il dualismo mentale e la distinzione tra conoscente, conosciuto e conoscenza.
       Ed il bello è che è sempre presente, pur essendo eclissata dall'ego mentale. La gente non lo sa e cerca all'esterno ciò cha ha dentro.

Meditare è all'inizio un'attività della mente. Ma ciò che si cerca è al di là della mente: questo è il paradosso.
       La pratica della meditazione formale non è quindi in grado di trovare ciò che cerca... a meno che non consista nel far tacere la mente, per far risplendere ciò che veniva tenuto in ombra.
       Non siamo noi che illuminiamo la Sorgente. Noi possiamo solo toglierle gli ostacoli per far sì che brilli da sola.

Quando il cielo è coperto dalle nuvole, non possiamo vedere il sole. Ma il sole è sempre lì, e, se le nuvole vengono spazzate via dal vento, ecco che ricompare.
       Fuor di metafora, questa è la situazione del Sé, ossia della Sorgente che cerchiamo. È sempre presente, pur essendo oscurata dalle nuvole delle varie attività mentali. Se sospendiamo queste attività, la sorgente risplende di nuovo.
       Ora, la meditazione formale (stare seduti, seguire il respiro, ripetere un mantra, ecc.), essendo un prodotto di uno sforzo della mente, non è in grado di vedere la sorgente. La sua stessa attività la nasconde. Che fare allora?
       Bisogna rivolgere l'attenzione non all'ego, non alle attività mentali e nemmeno alla psicologia empirica, ma ricercare direttamente il Sé. Il Sé è il sole sempre presente, le nuvole sono le attività mentali basate sull'ego. Tolte le nuvole, il Sé risplende di nuovo.
       Non si tratta, però, di pensare il Sé, ma di esperirlo - un'attività che è più simile ad un ricordare o ad un risvegliarsi da un sogno. Quando uscite da un sogno, vi rendete conto che la realtà è un'altra e la riconoscete immediatamente.
       Questo risvegliarsi, questo ricordare qualcosa di dimenticato, significa diventare consapevoli. Si diventa consapevoli, da una parte, di non essere quel vecchio io e, dall'altra parte, della nostra vera natura.
Certo siamo sempre sul filo del paradosso, perché il vecchio io non vuole affatto essere eliminato e fa di tutto per resistere. 


sabato 26 ottobre 2019

Il segreto del fuoco


Il nostro problema è che comprendiamo intellettualmente il messaggio sia dei maestri orientali sia di alcuni mistici occidentali, ma ci manca l’esperienza. La nostra mente capisce tutto, ma poi non sa abbandonare la presa, lasciando spazio alla pratica. In tal senso, siamo troppo intellettuali. E così il messaggio del “divino in noi” rimane lettera morta, un sogno della mente.
Il linguaggio non ci aiuta perché è dualistico e non riesce a cogliere l’unità del tutto. D’altra parte, non dobbiamo neppure limitarci ad esperienze solipsistiche. Da occidentali vogliamo costruire un vero ponte tra condizionato e incondizionato, una via “tecnica” che sia percorribile da tutti, e non solo da qualche anima eccezionale.
Anche per le affermazioni metafisiche, siamo figli di Galilei e del metodo sperimentale, e non ci accontentiamo di semplici enunciazioni teoriche. Le teorie sono affascinanti. Ma come possiamo dire che siano vere se non le esperiamo e verifichiamo noi stessi?
Vogliamo introdurre la tecnica nella nostra esperienza della trascendenza? E perché no? Sarebbe ora.
Prima abbiamo esplorato la Terra, oggi esploriamo lo spazio esterno, e ora ci manca lo spazio interno, le profondità dell’anima. È lì che c’è la “porta stretta”. Bisogna che qualcuno vi penetri dentro e riporti indietro il segreto del fuoco, sperando che non finisca punito dagli dei, che, chissà perché, non vogliono mai che rubiamo i loro segreti e progrediamo anche noi.

venerdì 25 ottobre 2019

Potere e politica


C’è chi cerca il potere con la politica e c’è chi lo cerca con la religione. Nell’India antica, i brahmani, la casta sacerdotale, volevano far credere che senza di loro, senza che fossero loro ad eseguire i rituali, questi non avrebbero avuto effetto. Quindi si assicuravano un bel potere, almeno sulle menti più deboli.
E oggi? Non è cambiato nulla. I nostri preti sostengono che senza i loro rituali, senza i “sacramenti” (da loro stessi istituiti), si è fuori dalla grazia di Dio. E ancora una volta si assicurano un bel potere sulle menti più superstiziose o incapaci di pensare con la propria testa.  Il gioco è sempre lo stesso. Lo scopo è sempre lo stesso: condizionare e comandare le coscienze.
Ecco perché politica e religione spesso vanno a braccetto. Cercano di assicurarsi un potere che altrimenti non avrebbero.
Ma è giustificato? Assolutamente no. Nessun Dio fonda religioni o caste sacerdotali. Ognuno deve vedersela da sé, senza mediatori più o meno interessati.
Il Dio di questi religiosi è semplicemente una proiezione della loro volontà di dominio.

L'autoindagine


Indagare sul proprio io empirico, conoscere se stessi, è diverso dall’indagare sul Sé spirituale. La prima è una pratica psicologica, la seconda è una pratica meditativa.
       Ma è possibile un'esperienza del Sé che non sia una esperienza di un io separato - separato da tutto il resto e ingabbiato in un corpo e in una psiche? Sì, è l'esperienza dell'essere puro e semplice, dell'essere presenti e basta: l' "io sono", anzi, il “sono”, l’ “essere”, senza altre determinazioni.
       Seconda la tradizione dell'Advaita Vedanta, questa esperienza è contraddistinta dal trio "sat-cit-ananda": essere, consapevolezza e beatitudine. La realizzazione di questa presenza del puro essere è chiamata "jnana" ("conoscenza") e coincide con l'illuminazione. Ma non esiste un individuo separato che compia questa esperienza. Alla fine sussiste soltanto l' "io sono", un Io o un Sé impersonale.
       Quando si realizza questa consapevolezza priva di sforzo in maniera continuativa, si parla di realizzazione del Sé. Non si può comunque dire che un ego l'abbia "ottenuta", poiché essa coincide con il superamento o con la liberazione dal e del sé empirico, l’ego.
       All'inizio, l'ego con la sua mente duale fa il suo lavoro, dato che svolge una ricerca sul Sé universale e si sforza di ritrovare la Totalità. Non si tratta tanto di un controllo della mente, quanto dell'essere testimoni di tutto ciò che ci capita in modo distaccato, senza esserne coinvolti, di uno svuotamento.
       Si ricerca la propria origine, non più confinata in un corpo e in una psiche, e non toccata né dalla nascita né dalla morte, in quanto infinita.

giovedì 24 ottobre 2019

L'interiorità universale


Dopo aver citato l’occidentale Meister Eckhart, per il quale il fondo dell’anima è Dio stesso, e viceversa, potremmo spostarci in Oriente e citare la Brhadaranyaka Upanisad in cui si esprime lo stesso concetto: “Colui che venera una divinità considerando che essa sia altra da sé e pensando: ‘Altri è il dio e altri sono io’, costui non sa”.
C’è dunque un’interiorità universale che coincide con Dio. E, se essa esiste in ogni essere, ogni individuo cosciente può ritrovare la divinità dentro di sé. Basti che guardi al proprio interno.
Ma c’è modo e modo per entrare in essa, cioè nel fondo di noi stessi. Possiamo entrarci con tutto il condizionamento della nostra mente, pensando con le abituali categorie percettive e logiche, e possiamo entrarci  cercando di far tacere la mente, ossia facendo il vuoto mentale.
Nel linguaggio di Eckhart, “il tempio in cui Dio vuole regnare da signore secondo la sua volontà è l’anima umana, che egli ha fatto perfettamente simile a sé. Perciò Dio vuole che questo tempio sia vuoto, perché all’interno non vi sia che lui solo” [trad. Marco Vannini].
E, nel linguaggio della Taittiriya Upanisad, il brahman-atman, è ciò “da cui recedono le parole e che non è conseguibile mediante il pensiero.”
Ecco perché, in meditazione, per raggiungere la trascendenza, è necessario svuotarsi di tutti i pensieri, di tutti i pregiudizi, di tutti i concetti e di tutte le immagini, Spogliarsi di tutto, trovare la “nudità” dell’essere.

mercoledì 23 ottobre 2019

Il fondo dell'anima


Sarà difficile togliere dalla testa degli uomini l’idea che il mondo abbia bisogno di una Causa prima e che questa Causa prima sia del tutto distinta da ciò che è causato. Il ragionamento è sempre lo stesso: se tutto ha una causa, anche il mondo deve averne una. Ma, stando alla logica, se ogni cosa ha una causa, non può esserci una Causa prima… perché anch’essa dovrebbe avere una causa.
In realtà ogni cosa è causa di qualcosa ed è causata da qualcosa, in una sequenza circolare e apparentemente senza fine.
Questo vale per il concetto di Dio come Causa prima. Quando si arriva alla domanda: “Allora, chi ha creato questo Dio?” non si può che rispondere: “Si è creato da sé”.
Ma se c’è qualcosa che si è creata da sé, questo è appunto il mondo, il tutto. Che non ha affatto bisogno di una causa esterna, di un Dio.
Dio è un’ipotesi inutile.
In tal senso, tutti siamo corresponsabili e creatori. Ecco perché se preghi un Dio esterno, non ti risponde. Dovevi “pregare” te stesso, ovvero il te stesso che partecipa alla creazione.
Le leggi che dominano il mondo non sono state pensate da Qualcuno, ma sono emerse dall’interrelazione di tutte le cose. Se il mondo è crudele o sofferente, è anche perché lo siamo noi, e viceversa.
Ma l’immagine di Dio serve anche ad altre cose. Serve a imporre sulla Terra un principio di autorità, che altrimenti non avrebbe alcun fondamento.
E, in effetti, nessuna autorità ha un fondamento, se non in se stessa. Ma certi uomini vogliono comandare sentendosi giustificati da un Dio che si sono inventati.
In tal senso, il “regno dei cieli” è molto più democratico di quanto si pensi. Non è affatto una monarchia assolutista. Ognuno è un mattoncino e ognuno conta… se lo capisce.
Quando cerchi Dio, non guardare in alto nei cieli, ma dentro te stesso, in fondo in fondo.
Come diceva Meister Eckhart, “il fondo di Dio è il mio fondo, e il mio fondo è il fondo di Dio.” E aggiungeva. “Molta gente semplice immagina Dio lassù e noi quaggiù. Ma non è così: Dio e io siamo una cosa sola”.  


martedì 22 ottobre 2019

L'impossibile pace nel mondo


Cattolici integralisti gettano statuine inca nel Tevere. Non è una novità. Per secoli l’integralismo cristiano ha distrutto o riconvertito i monumenti e i templi (lasciando perdere le persone) delle altre religioni, in modo non dissimile da quanto hanno fatto anche recentemente i fanatici dell’Isis.
Questo è l’odio cristiano. Questo è l’odio che alberga in ogni religione verso le altre. Ecco perché non saranno le religioni a portare la pace nel mondo.
Quando qualcuno sostiene che il crocefisso è un simbolo di pace, io osservo che è anche un simbolo di predominio e prepotenza. E lo stesso posso dire dei simboli di islam, giudaismo, induismo, ecc.

IL nucleo dell'essere


Di solito guardiamo con attenzione tutto ciò che ci circonda, pensando che sia il mondo “esterno”. In realtà ciò che guardiamo è ciò che i nostri sensi rilevano: immagini, suoni, odori, sapori, ecc. È un esterno per modo di dire, perché è sempre qualcosa che appartiene a noi e che viene da noi interpretato. Ma lo stesso può dirsi per ciò che proviamo internamente: noi crediamo che sia qualcosa di “interno”, mentre è anch’esso in parte un prodotto esterno. Per esempio, se provo paura, c’è qualcosa di esterno – interpretato internamente – che mi provoca questo sentimento. Poi, questo qualcosa di esterno può essere vero o non vero. Se scambio una corda per un serpente e mi spavento, la causa è sì esterna ma anche interna (la mia errata interpretazione).
Ovviamente esterno e interno sono nostre classificazioni. Ma spesso non è facile distinguere tra l’uno e l’altro. I sensi sono fallaci. E la mente interpreta tutto a modo suo. Anzi, la mente è a sua volta un qualcosa di esterno (il cervello) che percepisce e giudica, producendo segnali interni.
È difficile dire dove finisca l’esterno e incominci l’interno, e viceversa. I due sono strettamente intrecciati ed esistono l’uno in funzione dell’altro.
Se chiudiamo gli occhi, gli orecchi e gli altri organi di senso, ci rimane prevalentemente l’interno e possiamo concentrarci su ciò che proviamo internamente. Qui rimangono le sensazioni, i ricordi e naturalmente i pensieri. Per noi sono “interni”, ma anch’essi sono nati da un contatto con l’esterno e adesso ci frullano per il capo. Insomma, anche dopo aver chiuso i sensi, ci rimangono comunque tracce del mondo esterno. Ma è vero anche il contrario: quando teniamo i sensi ben aperti e all’erta, l’interno continua a lavorare attivamente, confrontando, interpretando e interferendo.
Tuttavia in meditazione è bene dimenticarsi di queste distinzioni e puntare a un centro che non è né interiore né esteriore, o che è tutt’e due. In genere si cerca di percepirlo all’ “interno” di noi, facendo tacere (per quanto possibile) sia le interferenze del mondo esterno sia le interferenze del mondo interno. Si tratta di un atto di concentrazione che taglia fuori i due mondi e cerca di identificare il nucleo dell’essere.
Questo nucleo può essere percepito sotto varie forme (luci, punti o figure) che sembrano visibili davanti agli occhi, verso la fronte, verso la corona della testa o più in basso verso il cuore oppure verso l’addome. Ma la cosa migliore è sentirne la presenza senza cercare di visualizzarlo. Magari percepire uno spazio vuoto.
L’operazione può essere eseguita da seduti e in silenzio, oppure anche durante brevi istanti nella vita di tutti i giorni. Ci si ferma, si punta e zac!
Porsi in questo punto, anche per pochi momenti, permette una specie di reset del nostro stesso essere, di solito disperso o inseguendo il mondo esterno o il mondo mentale. Noi non ci dirigiamo né verso l’uno né verso l’altro, ma nel punto di intersezione di entrambi, al di fuori dello spazio-tempo.
L’esercizio, se perseguito con costanza, dona una visione lucida e distaccata che consente di guardare ogni cosa come dall’alto e impassibili. Vediamo scorrere le varie vicende del mondo come se noi fossimo altrove, in un luogo di pace.

lunedì 21 ottobre 2019

Sedere in silenzio


Quando ci sediamo sulla poltrona del dentista, siamo pieni di tensione e di paura - tensione e paura che ci fanno sentire in modo orribile e accrescono la nostra sofferenza. Se fossimo in grado di rilassarci, scopriremmo che il dolore effettivo sarebbe inferiore a quello immaginato.
       Il dolore nella vita è inevitabile, ma la mente spesso lo ingigantisce. In realtà, oltre al dolore fisico, esiste una sofferenza di natura mentale che consiste nell’immaginare il peggio e nel cercare una sicurezza impossibile. Se riuscissimo a vedere la realtà così com'è, senza aspettative e senza immaginazioni, senza pensieri e senza parole, accettando sia la gioia sia il dolore, momento per momento, non solo vedremmo le cose con chiarezza, ma soffriremmo di meno.
       La comprensione è il fondamento di tutto, e ci permette di utilizzare non una mente divisa, separata dall'esperienza e tesa, ma una mente ben più vasta, che è aperta ad ogni avvenimento e che è più vicina alla natura della realtà.
       La sospensione della mente abituale, con le sue paure e le sue anticipazioni, con la sua convinzione di essere un io isolato che deve decidere il proprio destino, ci porta ad un'apertura mentale, ad un'ampiezza di visione, che ci fa distendere e ci apre enormi potenzialità. Molti uomini di genio hanno confermato che le idee migliori le hanno avute quando la rigida razionalità taceva e la loro mente era silenziosa, come sospesa.
       In effetti quando ci sediamo in silenzio e non pretendiamo di controllare noi stessi e il mondo, quando non ci poniamo obiettivi inderogabili, quando siamo rilassati, diventiamo più distesi, gioiosi e ispirati. Siamo soprattutto aperti a ciò che è, a quella mente di fondo che si sente ed è parte del tutto.
       Si attenua anche la paura della morte, perché ci rendiamo conto che la morte è un ritorno a quella sorgente da cui hanno origine la nascita e la vita.
       Dicevano i maestri zen cinesi: "Se vuoi vederlo, guardalo; se lo pensi, lo hai già perduto".
Bisogna dunque imparare a guardare con intensa concentrazione e con obiettività, lasciando da parte le immagini della mente, che distorce sempre la visione.

domenica 20 ottobre 2019

Prestare attenzione


Meditare, nella sua essenza, non è nient’altro che prestare attenzione. Infatti viviamo sempre come se fossimo un po’ distratti, poco presenti, superficiali. La cosa è paradossale perché noi siamo sempre in compagnia di noi stessi. Ma, distratti dalle mille attività del mondo, non vediamo una parte fondamentale di noi stessi. Questa parte è esattamente il centro, il nucleo di noi stessi, l’anima.
La religione ci ha parlato per secoli di questa anima, ma non ci ha mai aiutati a percepirla. Come mai? Forse perché è stato tutto esteriorizzato ed è stata rivolta la nostra attenzione nel guardare fuori, nell’adorare un Dio esterno o nello svolgere un’azione sociale caritatevole.
Dunque, ci perdiamo sempre qualcosa – qualcosa che è sempre dentro di noi e che è in grado di guidarci ed ispirarci dandoci una grande autonomia. Ma forse è proprio questo che le religioni osteggiano. Esse vogliono mantenere il loro controllo su di noi, impedendoci di essere in prima persona.

“Ma se non sarò me stesso, chi lo sarà per me?
E, se non ora, quando?”

Lo strumento per liberarci dai vincoli di chi vuole imprigionarci e comandarci è l’attenzione, la consapevolezza. Quanto più sarai te stesso, tanto più sarai libero.
Essere consapevoli significa rivolgere l’attenzione verso l’interno, chiudersi come in un bozzolo e cercare di percepire il soggetto ultimo delle nostre azioni, delle nostre sensazioni, dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri. Questo soggetto ultimo è il testimone di tutto, colui che osserva e rispecchia tutto, pur restando distaccato. È come uno specchio che rimane se stesso pur riflettendo ogni genere di immagine.
Non è qualcosa di astratto, è qualcosa di molto concreto. Tant’è vero che noi possiamo percepirlo, non come un oggetto, ma proprio come il soggetto ultimo. Si tratta di fare attenzione, di renderci più sensibili e di identificare un giorno dopo l’altro questo nucleo interiore.
Dapprima lo avvertiremo con una certa fatica. Apparirà velocemente e poi sparirà di nuovo. Ma, a lungo andare, se insistiamo, se non molliamo la presa, se siamo determinati e seri, se manteniamo la mente chiara e limpida, si delineerà sempre più chiaramente e sempre più a lungo. Fino a rimanere come fonte di ogni ispirazione, come guida. E come prova che siamo noi i creatori del nostro mondo.
Continuate a dirvi di non essere il corpo, di non essere la mente e cercate di percepire il vero soggetto. “Chi sono io?” Un giorno apparirà come una sensazione precisa e concreta, come una luce o un centro, come una presenza viva e fresca. Allora non sarete più soli in un mondo ostile e troverete la vostra guida spirituale e concreta che vi aiuterà a risolvere tutti i vostri problemi.

sabato 19 ottobre 2019

La medicina della sofferenza


Il presidente della Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici), Filippo Anelli, dichiara solennemente che "il medico non abbandonerà mai a se stesso il paziente, assicurerà sempre le cure si palliative per contenere il dolore sino alla sedazione profonda e sarà presente fin dopo il decesso, che certificherà, ma non compirà l'atto fisico di somministrare la morte".
Peccato che la nostra esperienza sia diversa: quando un paziente si trova alla fine, gli ospedali lo rimandano a casa e i medici si eclissano. Un modo come un altro per lavarsene le mani. Dai nobili proclami in difesa della vita al più completo menefreghismo.
Se ne fregano i medici e se ne fregano i parlamentari, che non trovano né il tempo né il coraggio di fare una legge che stabilisca a chi spetti somministrare “l’ultima cura”, quella che porrà termine alle sofferenze di chi sta per morire.
Eppure lo scopo dei medici non è solo quello di curare, ma anche quello di allievare le sofferenze.

La via della gioia primordiale


L'individuo che pensa di essere un io separato, immerso nel fiume del divenire, entra già – proprio per questo - nel mondo della sofferenza. Quando invece siamo felici o gioiosi, scompare addirittura il senso dell'ego. In realtà non ci chiediamo più niente: svanisce la domanda. La mente non è divisa e neppure tesa.
       Nella sofferenza, il senso dell'ego è fortissimo e crea barriere che ci separano da tutto e da tutti.
       Dobbiamo dunque riflettere sul fatto che, quando siamo rilassati, ci sentiamo bene, mentre, quando prevale la tensione,  soffriamo.
       Tendersi significa separarsi e penare, rilassarsi significa sciogliersi e gioire. Naturalmente i due stati d'animo sono complementari.
       Ora, finché viviamo in questo mondo di opposti, il polo da scegliere e da prolungare il più possibile sarà ovviamente quello della distensione. Ma non ci facciamo illusioni: se c'è l'uno c'è anche l'altro. L'ideale perciò è andare all'origine di entrambi, uscendo il più possibile dal gioco e dal mondo dialettico.
       Al di là del bene e del male, del piacere e del dolore: la nostra coscienza è dualistica, determinando il mondo in cui viviamo. Non può esserci contraddizione fra coscienza e mondo: l’uno crea l’altro.
       Ma prima del dualismo che cosa c’è? Dobbiamo scendere più a fondo, prima della biforcazione.
Prima della biforcazione c’è un sentiero unico, dove non c’è né questo né quello, né essere né non essere. È il luogo dell’unità, “da dove le parole (e i pensieri) recedono”, come dicono le Upanisad.
La fisica si è accorta da poco che l’atto del conoscere fa precipitare le cose dal loro indeterminato stato originario e le cristallizza in modo univoco. Ma i mistici avevano già scoperto da secoli che per “conoscere” la trascendenza occorreva nascondere la mente divisiva sotto una “nube della non conoscenza”.
In altri termini è sbagliato voler “conoscere” la trascendenza, cioè volerla inquadrare nelle nostre categorie mentali. Ciò che è importante è sospendere questo tipo di conoscenza e inserirci nell’unità fondamentale. Qui scopriamo una “gioia” e un “essere” che non hanno più i loro contrari.



venerdì 18 ottobre 2019

L'India sacra


Ci sono persone che vanno in India alla ricerca di guru. Cercano l'India della spiritualità e trovano un paese materialista, nazionalista, superstizioso, con differenze sociali spaventose e fortemente arretrato sul piano dei diritti civili e del trattamento delle donne. È vero che ci sono stati grandi maestri, ma, per conoscere il loro pensiero, basta leggere qualche libro. A che serve andare in India?
       "Più lontano si va, meno si conosce" diceva Lao-tzu.
       La vera India della spiritualità è dentro di noi, nel nostro cuore e nella nostra mente. È lì che bisogna "andare", non in qualche luogo fisico.
       Non andate in India, non andate a Gerusalemme, non andate a Roma, non andate a Lourdes, non andate alla Mecca... Se cercate il divino, lo trovate dappertutto, e soprattutto dentro di voi. Se cercate la spiritualità, lo spirito dove volete che sia... se non dentro di voi?
... E se siete cristiani
E se siete cristiani, non andate nei santuari, a san Pietro e nelle altre chiese. Lì non c'è niente di più che nella vostra stanza. Volete che il divino abiti in qualche edificio? Non siate così ingenui! Quando viene un terremoto, le chiese sono le prime a crollare. Lì troverete una casta di preti che vuole farvi il lavaggio del cervello, come in ogni altra parte del mondo. Lì troverete qualcuno che vuole vendervi le sue idee e che vuole influenzarvi per dominarvi meglio. Ma siete voi che dovete farvi la vostra idea e la vostra esperienza del divino. Non dovete prendere a prestito quella di altri.
       Se siete cristiani, leggete le parole di Gesù nel Vangelo di Matteo (6, 6): "Quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega Dio in segreto". Vi risulta che nei Vangeli Gesù consigli di andare nelle chiese?
       Ora, che cosa sono più importanti, le parole di Gesù o le parole dei preti e dei papi?
       Imparate a pensare con la vostra testa: già questo è un atto spirituale.

Diventare consapevoli


È più facile moltiplicare pani e pesci che rendere consapevole un uomo.
       Eppure è proprio questo il prodigio dell'illuminazione, allorché un uomo diventa per la prima volta consapevole di essere... un frammento dell’energia universale. In quel momento non è soltanto lui che diventa cosciente, ma l'intero universo che prende coscienza di se stesso.
       Si ripete il prodigio della creazione.
       Non c’è differenza tra l’energia che anima il cosmo e l’energia che anima l’individuo. È come per gli oggetti d’oro: gli oggetti assumono forme diverse, ma sono tutti fatti della stessa sostanza. Un anello o un bracciale sono oggetti differenti, ma, quando vengono fusi, ritornano alla loro origine.
Anche gli uomini assumono forme e caratteristiche diverse, Differiscono nel corpo e differiscono nella mente. Ma, quando il corpo e la mente si dissolveranno, che cosa rimarrà di loro se non la sostanza universale di cui sono fatti?
Noi siamo così presi dalle nostre faccende personali che ci dimentichiamo di questa sostanza universale che ci permea ed agiamo come persone separate. Ma possiamo svegliarci, anche adesso, dal sogno delle differenze e scoprire di che tempra siamo fatti. Allora il mondo ci appare sotto una luce nuova.
Finita l’apparenza del corpo, finite le illusioni della mente, scopriamo il nucleo fondamentale che ci anima.
Finita l’apparenza del corpo, finite le illusioni della mente, scopriamo il nucleo fondamentale che ci anima.

Questo nucleo è al di là dei desideri e delle paure abituali, e al di là anche della coscienza duale, ed è fatto di pura consapevolezza.

giovedì 17 ottobre 2019

L'identità di fondo


Quando usciamo dal sonno notturno, c’è come un attimo di sospensione. Ci eravamo dimenticati chi siamo… abitualmente. Per un attimo ci domandiamo: “Chi sono io? Dove mi trovo? Qual è la mia identità?” La confusione peggiora se abbiamo fatto un sogno in cui eravamo qualcun altro: lì passiamo da un’identità all’altra.
       Ma questo dimostra che la nostra identità può svanire o cambiare. “Stanotte ho sognato di essere una farfalla” scriveva Zhuang-zi. “Ma ero io che sognavo di essere la farfalla o la farfalla che sogna di essere me?” Il dubbio permane.
       Se per un incidente o una malattia perdiamo la memoria, possiamo o smarrire la nostra identità abituale o smarrire del tutto l’identità. In quest’ultimo caso, il nostro corpo continua a vivere ma noi non sappiamo più chi siamo. Anzi, sarebbe meglio dire che non esiste più la coscienza di un io; non esiste più la memoria che leghi un insieme di elementi che sono la mia identità.
Dunque l’identità è tutta una questione di memoria, di ricordi. Se perdiamo la memoria, perdiamo l’identità.
Inoltre la memoria non è infallibile e spesso interpreta i ricordi a modo suo. Dunque, anche la nostra identità abituale o prevalente è quanto mai incerta e può subire cambiamenti. Magari crediamo di essere qualcuno che non siamo.
È un bel pasticcio. Non siamo sicuri di niente. Ci attacchiamo a ricordi e ad abitudini. Ma ignoriamo quale sia la nostra vera identità.
Se perdiamo la memoria per un po’, ma poi la riacquistiamo, possiamo dire di essere stati assenti. Ma dove siamo stati? In una specie di non-io, in uno spazio senza coscienza di sé, in un ventaglio di possibilità di cui nessuna era prevalente.
È come un sogno confuso o una visione sfocata. E, se la nostra identità è così incerta nella vita di veglia, figuriamoci dopo la morte. Non abbiamo nessuna speranza che permanga.
Può esistere e resistere un sogno senza un sognatore dotato di una precisa identità? È un sogno confuso di un io incerto.
È chiaro che il nostro fondamento dovremo cercarlo altrove. Non in questa labile memoria, ma in ciò che ne è il testimone. Dovremo andare sempre più indietro e sempre più a fondo per ancorarci al testimone, al nostro semplice “io sono”, forte come una roccia.

mercoledì 16 ottobre 2019

Il soggetto ultimo


Noi diciamo abitualmente di avere un corpo. Ma chi ha un corpo? Qual è il soggetto che possiede un corpo e che dice di averlo?
Esamina questo soggetto. Scopri come puoi dire di avere un corpo. Chi è che dice che hai un corpo?
Evidentemente, non è il corpo, ma un altro soggetto.
Diciamo che questo soggetto è la mente. Tu dici di avere una mente. Ma chi lo dice, chi ne è consapevole? Non può essere la mente stessa. Evidentemente un altro soggetto.
Così, quando ti sei identificato con il corpo, hai scoperto di essere qualcosa di più. E quando ti sei identificato con la mente, hai scoperto di essere altro. Che cosa sei? Chi sei?
Tu non sei il corpo, tu non sei la mente; o, per meglio dire, tu hai quel corpo e quella mente. Ma chi è il vero soggetto, il soggetto ultimo di queste operazioni, di questi riconoscimenti e della coscienza stessa?
Evidentemente, non la mente, ma o una sua particolare funzione o un’altra forma di mente, quella che noi chiamiamo consapevolezza. Basta porsi queste domande per fare un passo avanti. Oltre il corpo, oltre la mente…
Ebbene, ora identifica questa consapevolezza. Non facendone un oggetto di conoscenza o di percezione, ma saltandoci dentro – essendola. Questa è il tuo sé.
La filosofia ragiona su questo essere, la meditazione cerca di esserlo.
Il tuo sé ultimo è sempre presente e dice di possedere un corpo, una mente e una coscienza. Ma lui sta al di là e al di sopra di tutti e tre. È questo che devi trovare, anzi essere.


martedì 15 ottobre 2019

La centesima pecora


Lasciare le 99 pecore per andare a riprendere quell’unica che si era smarrita?
Ma forse quella pecora non si era smarrita. Forse cercava la sua indipendenza, la sua via personale, fuori dalle vie battute dal branco e dall’opprimente controllo del pastore.
La via devi percorrerla da te e in te. Altrimenti non sarà mai tua e ti riporterà sempre nello stesso luogo scontato.
Non basta compiere un pellegrinaggio che tutti possono percorrere. Devi aprire la tua via personale.
Non essere conformista. Le vie del cielo non sono per i conformisti. Se fai quello che fanno tutti, avrai quello che hanno tutti – quasi niente.
La “via stretta” non è una via di massa.

lunedì 14 ottobre 2019

Il potere del singolo


Poiché sappiamo che l’universo ha un’origine unica (è un tutt’uno) e si trova in un equilibrio complessivo, dobbiamo concludere che ogni cosa influenza ed è influenzata dalle altre. Se una cosa cambia, cambieranno anche molte altre che la circondano.
       Ecco perché l’individuo ha un grande potere – se cambia se stesso, certamente cambierà ciò che lo circonda. Non c’è dunque bisogno di mettersi a cambiare le varie cose intorno (talvolta peggiorandole): basta anche solo cambiare se stessi.
Di solito noi preferiamo operare sulle cose esterne, anche per indurre cambiamenti interni. Siamo convinti che, per cambiare in meglio l’uomo e il mondo, ci si debba impegnare attivamente. Però è anche possibile – e ben più efficace ­- la sottile arte dell’influenzamento dall’interno all’esterno.
Questo è certamente visibile negli stati d’animo di una certa comunità. Se uno è felice, depresso, calmo, agitato o sofferente, avrà certamente un’influenza, positiva o negativa, sulle persone legate a lui. Ma quanto più importante sarà un individuo capace di mantenersi distaccato, silenzioso e imperturbabile in mezzo al caos giornaliero!
Non c’è bisogno di penitenze o di interventi divini – la vita è già una penitenza. E il divino è esattamente dentro di noi, non in qualche centro di potere nei cieli. Non disturbare lo spazio esteriore e quello interiore è già un atto potente, capace di cambiare la terra. Se poi diventiamo capaci di dissolvere l’ego interiore e di disidentificarci dalle solite configurazioni mentali, entrerà in noi una nuova energia, in grado di cambiare tante cose in noi e fuori di noi. Potremo infatti liberare il potere tenuto fin allora confinato in un io in gran parte sofferente.
      



domenica 13 ottobre 2019

Oltre l'io


Porsi la domanda "chi sono io?" è la nostra grandezza e la nostra disperazione. La nostra grandezza perché nessun altro animale è in grado di porsela. La nostra disperazione perché, ponendoci la domanda, ci mettiamo al di fuori della Totalità e ce ne separiamo, come se fossimo individui isolati.
       Eppure dobbiamo porci la domanda. Ma la risposta è che siamo particelle di un unico insieme, di un unico organismo, non esseri separati.
       Comprendere questa semplice verità è già una forma di illuminazione. Percepirla è già realizzazione, perché ci si pone al di là del piccolo io.
       La realizzazione è sentirsi parte del tutto. E non si tratta tanto di un pensiero quanto di un'esperienza, di una sensazione, di una consapevolezza, di una intuizione. A questa scoperta si oppongono tutti gli atteggiamenti di rigidità, di discriminazione, di durezza e di separazione, in particolare quello di ritenersi un ego diviso, solitario e indipendente. Di indipendente in questo mondo non c'è niente. Ogni cosa dipende da altre cose, ogni cosa esiste perché sono esistite ed esistono altre cose.
Ma se uno di noi si rinchiude in se stesso, si contrappone agli altri e al mondo e si crede orgogliosamente un individuo a sé stante, non solo non ha un atteggiamento aperto, ma va anche incontro ad una sofferenza senza fine. In fondo questo genere di sofferenza mentale è la cartina di tornasole del nostro grado di saggezza.
       Non esistono né cose né esseri separati. La realtà ultima è unità, è un tutto interconnesso. Strappa un filo d'erba, e l'universo tremerà.

sabato 12 ottobre 2019

La pace nei cuori


Affidare la pace alle religioni è come affidare la custodia dell'agnello al lupo. Non abbiamo bisogno di ricordare il tipo di pace voluto dai fanatici islamici o da quelli induisti. Ognuno mira al proprio predominio, ognuno odia e vorrebbe distruggere chi ha una fede diversa, l' "infedele". 
Quanto alla pax Christi, è scritta in tutti i libri di storia: prendiamo il caso dell'invasione del Sud America in seguito alla scoperta dell'America. "Stimiamo cosa sicura e veritiera" scriveva Bartolomé de Las Casas, il missionario spagnolo domenicano che scrisse nel Cinquecento sulla brutalità degli spagnoli verso gli Indios dei Caraibi "che sono morti, nel corso di questi quarant'anni, più di dodici milioni di anime, uomini, donne e bambini, per la tirannia e le opere infernali dei cristiani..." Ma lo stesso comportamento si ebbe nei confronti dei nativi dell'America Settentrionale, dei negri in Africa, degli asiatici e degli aborigeni in Australia. Dove arrivava la civiltà cristiana, arrivavano l'intolleranza religiosa, l'imperialismo e la volontà di sfruttamento degli indigeni. Mai una civiltà fu più sanguinaria e sfruttatrice di quella cristiana, che fece la guerra non solo contro alle altre religioni, ma anche contro le diverse interpretazioni del messaggio cristiano. "Non sono venuto a portare la pace, ma una spada!" disse Gesù.
Ecco perché quando si dice che il crocefisso è un simbolo di pace, a me viene in mente una storia diversa. Le stesse opere di “evangelizzazione” non sono che attività di indottrinamento (e dunque di conquista) più o meno costrittive.
       La pace si può avere soltanto quando c'è pace nei cuori, non quando c'è volontà di prepotenza o presunzione di superiorità. Ma, per avere la pace nei cuori, ci vuole un’attenta opera di meditazione, il che si scontra con le fedi che pretendono lo spegnimento del senso critico e la sottomissione alle autorità.


venerdì 11 ottobre 2019

L'aggressività umana


Contro i curdi viene scatenata l'ennesima guerra da uomini che agiscono dominati da volontà di potere e mancanza di consapevolezza. Se tutti questi grandi capi, questi potenti dotati di solfi e di armi micidiali, potessero, anche solo per attimo, meditare! Essere consapevoli della loro aggressività, dei loro istinti belluini, della loro sostanziale ignoranza.
Il mondo sarebbe diverso, non un luogo di guerra ma un mondo di pace. Però, lo sappiamo, chi mira tanto al potere potrà magari credere in un Dio (il Dio della potenza), ma non potrà meditare.

Disidentificarsi


Meditare è disidentificarci prima di tutto dal corpo. “Io non sono il corpo”: il corpo è un semplice rivestimento. Ma la sostanza è altrove.
Subito dopo, però, dobbiamo disidentificarci dalla mente. Tutti questi pensieri, questi impulsi, questi condizionamenti, che io posso vedere in azione, appartengono alla mente. “Ma io non sono la mente”: io posso essere consapevole delle attività della mente e dunque la mia essenza sta prima ancora: sta proprio in quel Testimone che è capace di distaccarsi e di osservare corpo e mente.
Chi sono dunque io? Retrocediamo come esercizio da tutto ciò con cui ci identifichiamo. E ritroviamo ciò che sta prima di tutto. “Quello sono io!” Un Vuoto consapevole.

Il Grande Vuoto


Chi crede in un Dio, pensa che Dio abbia creato il mondo con lo spazio, il tempo – e la coscienza umana.
Ma, senza la coscienza umana, neppure Dio sarebbe.
Dunque, il vero creatore, ciò che viene prima di tutto, è la consapevolezza. O Dio è la consapevolezza e quindi ognuno è Dio.
Però, prima ancora di tutto è il Vuoto, la matrice del tutto.
Ogni cosa viene dal vuoto. E il vuoto traspare da ogni cosa. Non potrebbero esserci né un pensiero né una musica né un oggetto senza il vuoto.
E, per tornare all’origine, non possiamo che ripassare dal vuoto. Un vuoto in cui è già presente la consapevolezza universale.

Piacere e felicità


Tutti cerchiamo la felicità e per brevi momenti possiamo anche trovarla. Ma poi passa presto. Allora cerchiamo di ritrovarla. Tuttavia qui ci si confondono le idee e pensiamo che la via più facile per raggiungerla sia trovare il piacere.
Però il piacere è un surrogato della felicità, non è la felicità. Il piacere nasce dal desiderio, la felicità nasce dalla liberazione dal desiderio.
Il piacere è tensione, la felicità è distensione.
Il piacere viene dall’esterno, la felicità da dentro.

giovedì 10 ottobre 2019

Il potere della coscienza


È vero che la fede sposta le montagne, anzi è perfino in grado di crearle.
       In fondo, quel che noi crediamo reale è sempre un prodotto mentale. Per esempio, tutti siamo convinti che esista un mondo là fuori, un mondo che persisterà anche quando non ci saremo più. E in tal modo lo facciamo essere.
       Ma pensiamoci un po': come potrebbe esistere qualcosa se non ci fosse una mente che lo percepisce e lo pensa? Se non ci fosse una mente che percepisce e pensa, in nessuna parte dell'universo, niente esisterebbe o esisterebbero oggetti senza senso, come pietre e sassi. Il mondo esiste in funzione e in compagnia di una coscienza. Niente coscienza = niente di niente.
       Se fossimo in grado di cambiare la coscienza potremmo cambiare il mondo.