Qualsiasi tentativo umano di postulare la sopravvivenza del sé
dopo la morte fisica può essere sospettato di rimozione della consapevolezza
delle morte. Come dire, un sogno ad occhi aperti per rimuovere un’angoscia di
fondo. Due cose - diceva La Rochefoucauld - non si possono guardare
direttamente: il sole e la morte.
Ma, se vogliamo andare a fondo, se siamo dei meditatori, dobbiamo
metterci di fronte a questa possibilità: la completa scomparsa de sé. Qual è
allora il significato dell’esistenza, di questo apparire per qualche attimo per
poi sparire definitivamente?
È vero che non si può parlare di un
completo annientamento, dato che tutto si trasforma. Ma la trasformazione può
comportare una discontinuità della coscienza. Chi ci dice che la coscienza
della farfalla sia la stessa della pupa? È più probabile che nessuna delle due si
ricordi dell’altra.
Se un tempo fummo acqua, luce, pesci, uccelli o mammiferi, nessuno
se lo ricorda.
Nel buddhismo, che nega l’esistenza di un’anima, uno degli
esercizi fondamentali è contemplare i cadaveri, ossia la realtà concreta della
morte. Si può sostenere che esista un’anima o un’essenza che non scompare del
tutto, ma resta il fatto che ciò potrebbe non prevedere la continuità della
coscienza del sé, ossia il ricordo delle esistenze passate – cosa del resto
verificabile proprio ora. Chi si ricorda dove eravamo prima di nascere?
Tutti dobbiamo confrontarci con l’idea della morte, prima quella
degli altri e poi la nostra; e tutti dobbiamo imparare a vivere con questa
prospettiva senza farci sopraffare dalla disperazione. In chi contempla la
propria possibilità di sparizione senza rifugiarsi in fantasie sulla sopravvivenza
del sé, sorge una nuova consapevolezza che chi si attacca ad idee di un io
eterno non raggiungerà mai.
In fondo, l’angoscia di morte è all’origine di tutte le nostre
angosce. Se ne diventiamo consapevoli, ci libereremo di un enorme peso.
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