Nietzsche nei Frammenti postumi definiva “i contemplatori del proprio ombelico”
coloro che si occupano morbosamente di se stessi. Ma oggi queste persone non
sono tanto coloro che meditano quanto coloro che si dedicano all’apparenza.
È chiaro che bisogna sfuggire tanto
dalla degenerazione dell’intimismo, in cui non si occupa più di ciò che succede
esternamente, quanto dell’attivismo frenetico dei nostri tempi. In meditazione
c’è sempre il pericolo di una regressione narcisistica, ma è per questo che si lavora
per un superamento del proprio piccolo ego e per vedere le cose impersonalmente.
È quindi necessario contemperare gli
opposti: guardarsi a fondo senza perdere di vista l’ambiente e agire senza
finire nell’attivismo esasperato o in quella specie di dionisismo che ha finito
per distruggere lo stesso Nietzsche.
Contemplare è una necessità dell’anima
che cerca un perno, un centro, ma che non si rinchiude in esso. Si contempla il
sé tenendo presente il tutto, si contempla il tutto tenendo presente il proprio
centro.
D’altronde, fra gli scopi della
meditazione, oltre a quello di trovare calma e distacco, c’è proprio quello di
trovare un equilibrio dinamico tra gli opposti atteggiamenti dell’esaltazione
vitalistica, alla Nietzsche, e la depressione nichilistica alla Schopenhauer.
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