Poiché la sofferenza individuale non è
che un’espressione della sofferenza universale, legata al vivere, chi soffre ha
almeno un vantaggio: ha un mezzo per universalizzarsi. Il mio dolore è sì mio, ma è nello stesso tempo quello di tutti gli
uomini, anzi di tutti gli esseri viventi.
E non si soffre solo per il proprio
dolore, ma anche per quello di chi ci sta vicino. A questo punto il dolore si
fa com-passione. Si può non compatire
chi ha perso un figlio, il lavoro, il denaro, la casa, la libertà o la patria?
Ma, al fondo del dolore per una
perdita, propria o altrui, non c’è in realtà quel sentimento doloroso che tutto
è fatto per perdersi? Io sono destinato a perdermi, tu sei destinato a perderti…
tutto è destinato a finire, a essere distrutto, a morire. Non è qui, in questa
angoscia, che attingiamo ad una verità fondamentale, ad una visione universale?
Abbiamo intravisto il principio stesso
della sofferenza. Le cose non sono fatte per durare, le cose sono fatte per
dissolversi. Questo è per noi il male. Ed è un male ineliminabile, non
risanabile, non redimibile.
In effetti, è proprio la consapevolezza
dell’ineluttabilità della sofferenza, del male e del morire che spinge a voler
vivere pienamente, a non lasciare niente di non-esperito.
La molla di eros sta nella coscienza
della precarietà e dell’impermanenza. E così la vita e la morte, la sofferenza e la gioia, il piacere e il dolore, la nascita e la morte si tengono insieme... in quell'intrico che è il mondo.
Anche Lei si è convertito a quello sforzo emorroidario di vivere ogni istante della propria vita, come se fosse l'ultimo? E la nostra vera essenza, distaccata dagli effetti degli stracci (o cenci) delle nostre biografie terrestri e mortali, riprendendo E. Zolla, che fine ha fatto? La seguo sempre con grande interesse, e La ringrazio anticipatamente per una Sua eventuale risposta...
RispondiEliminaHo descritto la situazione è la percezione dell'uomo comune, cioè di tutti noi. Se poi uno crede ad un'essenza o ad un'anima immortale, meglio per lui. Ma sarà comunque un'altra cosa, e anche lui dovrà trapassare e lasciare.
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