Il vuoto e il nulla sono al centro di
una nuova e più interessante possibilità di concepire la teologia e una più
profonda comprensione della realtà.
Vuoto non significa non-esistente. Se
diciamo che una casa è vuota, non significa che sia non-esistente. Se diciamo
che al fondo dei numeri c’è lo zero, non significa che lo zero sia nulla; anzi,
senza di lui non potremmo fare tante operazioni. Un vuoto, dunque, molto utile.
Il vuoto permette ad un vaso di essere,
ad una casa di essere, alla musica di essere, al corpo di essere, al mondo di
essere, al pensiero di essere, alla vita di essere… e, in realtà, ad ogni cosa
di essere.
Vuoto e nulla non indicano una
mancanza, ma una possibilità di dinamismo e di potenziamento della vita, un
nucleo che permette di assegnare un sostrato a tutto. Lungi dall’indicare
annientamento, indicano una potenzialità di essere, il fondo delle cose.
Avvicinarsi al vuoto è avvicinarsi all’essenza.
Il nucleo non è non-esistente, ma la possibilità della moltiplicazione dell’essere.
Il problema che il vuoto-nulla non è comunemente
esperibile, perché in esso viene a mancare il soggetto percipiente. Quando per
esempio dormiamo senza sognare, il soggetto scompare. E lo stesso avviene nella
morte. La coscienza arriva fino al suo limite estremo e poi si spegne.
Di conseguenza, del vuoto possiamo dire
solo quello che non è, non quello che è. Ma questo non significa che
non-esista. La sua esistenza può essere dedotta proprio dalle molteplici
manifestazioni dell’essere.
Ritornare al vuoto è quindi la
possibilità di tornare al fondo della realtà. E ci si può arrivare o attraverso
il sonno senza sogni o attraverso la meditazione che comporta il silenzio, la
quiete, la non-mente e lo sprofondamento.
Possiamo arrivare ai limiti del buco
nero, stare lì a contemplare il vuoto-pieno-di-potenzialità, attingere un po’
della sua enorme energia e poi tornare rinnovati in questa realtà delle sue manifestazioni.
La meditazione è una pratica di
immersione periodica in queste profondità abissali.
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