venerdì 1 novembre 2019

La forza della vita


La forza primaria che manda avanti l’universo è la fame di vita, una cieca volontà impressa nella materia e in ogni essere vivente, che dice: “Vivi e riproduciti!” È a questo impulso cui obbediscono tutti gli organismi, dai più semplici ai più complessi. La sessualità ne è l’aspetto più evidente. Per Schopenhauer questo è l’elemento essenziale, la cosa in sé, l’assoluto. Ma tanti altri pensatori, in occidente e in oriente, sono giunti alla stessa conclusione. Del resto, basta osservare il mondo in cui viviamo per accorgersene. Siamo tutti schiavi di questa forza, che precede apparentemente la ragione e ogni altra volontà.
Anche per la psicoanalisi è così. Freud stesso identificò questa volontà di vivere (Eros) come l’impulso primordiale della psiche. Ma alla fine dovette anche ammettere che esisteva il suo contrario: l’impulso di morte (Thanatos), ben evidente in tanti comportamenti aggressivi e distruttivi.
Più semplicemente, in Oriente, si è sempre sostenuto che l’energia divina ha tre aspetti: uno creativo, uno conservativo e uno distruttivo.
In effetti è impossibile distinguere nettamente tra i due impulsi. La vita stesso non potrebbe affermarsi senza la morte e viceversa. L’una serve all’altra. Sono come le due facce della stessa medaglia. Non puoi eliminarne una senza eliminare l’intera medaglia.
Il mondo è ambiguo e ambivalente. I contrari non si eludono affatto a vicenda, ma si sostengono vicendevolmente. Essere e non essere, vita e morte, bene e male, giusto e ingiusto… è una lotta che non può mai concludersi, pena la conclusione della vita stessa.
Stando così le cose, non ha senso parlate di vita eterna o di morte totale. È evidente che la vita continuerà a riemergere e la morte a non avere la vittoria definitiva. Il gioco andrà avanti… fino alla fine dei tempi. Anche se si estingue la coscienza individuale, non si estinguerà il cieco impulso alla vita. Gli impulsi che ci hanno portato a nascere rimarranno anche dopo la morte.
Sono queste considerazioni che fanno parlare in oriente di sopravvivenza degli impulsi karmici, nonostante la morte del corpo e della mente. Dopo la morte del corpo e della mente, restano intatte le stesse condizioni che ci hanno portato a nascere.
Questa consapevolezza dovrebbe portarci ad affrontare il problema della vita-morte da un altro punto di vista, con più distacco. Non possiamo fare a meno di nascere, non possiamo fare a meno di morire – il processo non è nelle nostre mani, ma ci trascende e ci precede. A meno che…
A meno che l’individuo non lavori su se stesso fino a comprendere bene l’intero processo del vivere per morire e del morire per vivere e non decida che è ora di passare oltre. Ma non è tanto una decisione razionale, quanto una comprensione che ci distacca dalla ciclicità. Il bambino che diventa adulto non lo decide lui - bensì passa naturalmente da uno stadio all'altro.

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