Il
Papa e gli altri leader religiosi, quando si incontrano o in altre occasioni,
non mancano di elevare appelli alla pace. Tutto bene. Ma, a quanto pare, senza
risultati: non solo il mondo è pieno guerre, ma le religioni vi danno anche il
loro contributo. Né si è neppure mai visto che una religione riesca a fermare
una guerra tra paesi con la stessa fede.
Come mai? Forse i religiosi non hanno
parlato abbastanza di pace? No, ne parlano tutti i giorni. E allora?
E allora le parole lasciano il tempo che
trovano. Ci vuole ben altro. Ci vuole che ogni individuo porti dentro di sé la
pace, prima osservando dentro di sé e negli altri tutte le pulsioni di guerra,
tutte le antipatie, tutte le discriminazioni e tutte le avversioni, e poi cercando
di eliminarle.
Se non si fa questo lavoro interiore e
personale, gli uomini, per quanto religiosi, non si renderanno conto dei propri
istinti bellicosi e quindi non riusciranno a devitalizzarli.
Questo vale per tutti i vari “comandamenti”
religiosi. Non serve a niente parlarne. Serve invece, quando sono giusti, introiettarli. Ma qui casca l’asino.
Perché le religioni non addestrano alla meditazione personale. E i buoni
propositi restano lettera vuota.
La verità è che continuiamo a vivere di
chiacchiere e di valori che restano al di fuori, alla superficie dei singoli
individui. E, alla prima occasione, i vecchi istinti distruttivi – ben vivi
dentro di noi - saltano fuori e… fanno la guerra indisturbati.
Dunque, invece di parlare tanto di pace,
amore, bontà, unione e benevolenza, diventiamo consapevoli di quante volte in
un giorno proviamo impulsi di aggressività e di odio. E scopriremo come la
guerra esterna sia la proiezione della nostra guerra interna.
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