“Ci siamo persi a tal punto” diceva
Fernando Pessoa “da essere sulla buona strada.” Ci sono frasi, ci sono pensieri
che rappresentano piccole illuminazioni. Nello stesso senso, Kierkegaard
scriveva che “quando tutto ti sembra perduto, è allora che incominci a vivere.”
Il punto è che bisogna disfarsi di tante
certezze per giungere alla realtà. Dobbiamo scoprire che quelle certezze erano
infondate, erano semplici condizionamenti. Anche Gesù diceva che bisogna morire
per rinascere. Non morire in senso fisico, ma morire nei nostri infondati
luoghi comuni, nelle nostre fasulle convinzioni.
Il bardo
è nel buddhismo tibetano un intervallo che può durare una vita o un attimo.
L’esistenza è appunto uno stato di bardo.
Ma ci sono tanti altri bardo: tra un
pensiero e il successivo, tra un respiro e l’altro, tra la morte e la
rinascita, tra un concetto e il suo opposto, tra il conoscente e il conosciuto,
tra il risveglio e la veglia, tra una pulsazione e l’altra, ecc.
Tra i due estremi c’è una specie di
salto, di divario, di sospensione, di vuoto, in cui scompaiono la nostra mente
e il nostro io. Perché tutto in questo mondo ha un andamento discreto,
discontinuo. Il tutto ha avuto origine dal vuoto – e il vuoto traspare in tanti
punti e momenti.
Quando ci addormentiamo, dove andiamo?
Eppure noi periodicamente affondiamo e poi
riemergiamo, non più uguali a prima ma nemmeno del tutto diversi.
In questi intervalli siamo oltre, oltre la nostra logica duale,
oltre il pensiero calcolante, oltre il nostro mondo artificiale e condizionato.
Dove andiamo? In un non-luogo, in un
non-io, dove non ci sono più la nostra mente, la nostra civiltà, la nostra
cultura, la nostra educazione. Ritorniamo a quell’origine, a quel “luogo ortivo”
come direbbe Heidegger, in cui il vuoto corrisponde alla nostra natura
originale, diversa da quella artificiale
che abbiamo costruito imprigionandoci.
Ci distacchiamo, ci liberiamo, entriamo
in un bagno purificatorio e rinnovativo. Possiamo stare semplicemente seduti,
come nello shikantaza dello zen,
sbarazzandoci delle distinzioni, come quella tra soggetto e oggetto, tra
conoscente e conosciuto o tra io e mondo, e liberandoci dei desideri e della
stessa volontà egocentrica. Questo è satori.
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