giovedì 7 novembre 2019

Shikantaza


“Ci siamo persi a tal punto” diceva Fernando Pessoa “da essere sulla buona strada.” Ci sono frasi, ci sono pensieri che rappresentano piccole illuminazioni. Nello stesso senso, Kierkegaard scriveva che “quando tutto ti sembra perduto, è allora che incominci a vivere.”
Il punto è che bisogna disfarsi di tante certezze per giungere alla realtà. Dobbiamo scoprire che quelle certezze erano infondate, erano semplici condizionamenti. Anche Gesù diceva che bisogna morire per rinascere. Non morire in senso fisico, ma morire nei nostri infondati luoghi comuni, nelle nostre fasulle convinzioni.
Il bardo è nel buddhismo tibetano un intervallo che può durare una vita o un attimo. L’esistenza è appunto uno stato di bardo. Ma ci sono tanti altri bardo: tra un pensiero e il successivo, tra un respiro e l’altro, tra la morte e la rinascita, tra un concetto e il suo opposto, tra il conoscente e il conosciuto, tra il risveglio e la veglia, tra una pulsazione e l’altra, ecc.
Tra i due estremi c’è una specie di salto, di divario, di sospensione, di vuoto, in cui scompaiono la nostra mente e il nostro io. Perché tutto in questo mondo ha un andamento discreto, discontinuo. Il tutto ha avuto origine dal vuoto – e il vuoto traspare in tanti punti e momenti.
Quando ci addormentiamo, dove andiamo?
Eppure noi periodicamente affondiamo e poi riemergiamo, non più uguali a prima ma nemmeno del tutto diversi.
In questi intervalli siamo oltre, oltre la nostra logica duale, oltre il pensiero calcolante, oltre il nostro mondo artificiale e condizionato.
Dove andiamo? In un non-luogo, in un non-io, dove non ci sono più la nostra mente, la nostra civiltà, la nostra cultura, la nostra educazione. Ritorniamo a quell’origine, a quel “luogo ortivo” come direbbe Heidegger, in cui il vuoto corrisponde alla nostra natura originale,  diversa da quella artificiale che abbiamo costruito imprigionandoci.
Ci distacchiamo, ci liberiamo, entriamo in un bagno purificatorio e rinnovativo. Possiamo stare semplicemente seduti, come nello shikantaza dello zen, sbarazzandoci delle distinzioni, come quella tra soggetto e oggetto, tra conoscente e conosciuto o tra io e mondo, e liberandoci dei desideri e della stessa volontà egocentrica. Questo è satori.


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