È un'antica pretesa quella dei sacerdoti di essere mediatori tra
l'uomo e Dio. Un'idea curiale, burocratica e gerarchica... sostenuta ovviamente
da una casta che in tal modo ottiene una funzione, un riconoscimento e una
ricompensa. Nell'India antica, per esempio, esistevano i brahmani, i quali
affermavano che il rapporto con il divino e anche l'ordine sociale dipendessero
dai loro rituali. Oggi, questa concezione è ancora presente nel cristianesimo,
dove il prete si pone come l'unico interprete autorizzato della volontà divina e
dei rituali.
Il cattolico si rivolge al prete un po'
come si rivolge ad un patronato. Spera di essere trattato con più
considerazione e con più cura; spera di poter mercanteggiare meglio.
Ma domandiamoci: che
bisogno c'è di ricorrere a sacerdoti e a rituali per rivolgersi a Dio? Chi ci
vieta di farlo direttamente, in prima persona? Crediamo che Dio sia una specie
di Papa con tutta la sua corte, che bisogna ingraziarsi?
Chi ci ha messo in
testa un'idea del genere? Chi, se non i creatori e manipolatori dei Vangeli?
Dio non solo non è un
Potere esterno. Addirittura è... in ciascuno di noi, è ciascuno di noi. Ma,
poiché non ne siamo consapevoli, ci rivolgiamo prima all'esterno e poi ad un
mediatore. E rivolgendoci all'esterno e a un mediatore, ecco che manchiamo
completamente il divino. Siamo irrimediabilmente divisi da Dio. Cioè, è Dio che
si divide da se stesso.
Così ci toccherà
rimandare tutto al prossimo giro. Cioè, Dio dovrà rimandare tutto al prossimo
giro.
"La
coscienza è la presenza di Dio nell'uomo". (Emanuel Swedenborg)
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