Forse
sarebbe meglio parlare di “chiarezza mentale” anziché di “illuminazione”. L’illuminazione
è qualcosa di vago e non può essere verificata, mentre tutti possono percepire
la propria chiarezza mentale, con i suoi alti e bassi. Molti però non hanno tra
i propri valori la “chiarezza mentale”. Da ciò che vediamo, spesso non si cerca
affatto la chiarezza mentale, la lucidità, ma esattamente il suo contrario: l’ottundimento.
In effetti, la diffusione di alcol e droghe risponde proprio a un bisogno di
stordimento. Stordirsi per non pensare, per non affrontare la realtà, per non
soffrire.
Oltre alle sostanze stupefacenti,
esistono anche droghe mentali che non sono meno potenti: per esempio le fedi,
le ideologie totalitarie, il lavoro, l’attivismo, lo spostarsi in
continuazione, la socialità coatta, ecc.
Con la meditazione, noi acuiamo
certamente lo stato di chiarezza, di penetrazione, di presenza mentale, di
indipendenza e, se vogliamo, di felicità. Perché esistono almeno due tipi di
felicità: quello del pieno e quello del vuoto.
Il pieno è l’acquisizione, materiale,
sensuale e mentale: siamo felici quando conquistiamo o possediamo qualcosa. Il
vuoto è la ricerca dell’essenziale e dunque una spoliazione, una liberazione.
Con la prima felicità ci riempiamo e ci appesantiamo. Con la seconda ci
svuotiamo e ci alleggeriamo.
Al limite, l’essenza è un vuoto, ma non
una specie di notte buia dove tutte le vacche appaiono nere. Al contrario, ogni
vuoto è in realtà diverso dall’altro, almeno finché rimane separato dagli
altri, finché resta la sua configurazione di partenza.
La ricerca della liberazione attraverso
la chiarezza mentale è uno spogliarsi delle cose, dei pensieri e degli atteggiamenti
superflui, confusi e confondenti per trovare ciò che rimane al fondo di tutto:
quel Sé che dovrebbe corrispondere alla nostra essenza.
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