Noi ci crediamo individui, esseri separati e indipendenti, e
crediamo di poterci osservare così come osserviamo un oggetto qualsiasi. Ma non
è esattamente così.
Prima di tutto, non
siamo esseri separati, né dagli altri né dal mondo. Esistiamo perché esistono e
sono esistiti altri esseri prima di noi. Siamo tutti interconnessi, sia
orizzontalmente sia verticalmente nel tempo. Nello stesso tempo, siamo parte di
un ambiente che fa parte di un mondo che fa parte di un universo, ecc. Siamo dunque
fatti delle stesse particelle di cui sono fatte tutte le cose nel cosmo -
particelle che sono soltanto cariche, onde o pacchetti d'energia.
Quando poi cerchiamo
di conoscere noi stessi, incontriamo una difficoltà insuperabile. Noi siamo
sempre il soggetto che conosce, non l'oggetto che conosciamo. Nel momento in
cui ci pensiamo, in realtà ci rappresentiamo, ma non siamo più il soggetto
conoscente.
Naturalmente abbiamo
un'identità personale, anche se si tratta di qualcosa di illusorio che,
oltretutto, è condizionato pesantemente.
Ma chi siamo
veramente? Certo possiamo fornire dati anagrafici, fisici, psicologici... Ma si
tratta di elementi parziali, che non ci dicono ancora chi siamo. Certe parti di
noi ci restano sconosciute. Se qualcuno ci avesse seguiti e osservati fin dalla
nascita saprebbe molte cose, ma non saprebbe ancora chi siamo. E noi stessi non
lo sappiamo.
In fondo, nessuno
conosce dove arrivino i confini dell’anima. Non c’è un vero fondo. L’anima è
come un albero che attraverso i rami e le foglie è in contatto con l’aria e l’ambiente,
e attraverso le radici è in contatto con il sottosuolo e i suoi tesori.
Allora, più che
fornire dati parziali, più che ricordare il passato, più che porci domande,
dobbiamo metterci in silenzio, senza pensare, senza proiettare, senza
concettualizzare, senza rappresentare qualcosa di noi. Dobbiamo cercare di
"coglierci", non di pensarci. Dobbiamo cercare di rilassarci, di
interrompere la tensione esistenziale, di arrestare l'interminabile produzione
di discorsi interiori, di ricordi, di previsioni, di preoccupazioni, di ansie e
di fantasie, di confronti con il passato, di calcoli per il futuro, eccetera
eccetera... Dobbiamo insomma lasciar da parte la frenetica attività mentale che
ci abita e che ci impedisce di coglierci.
Siamo come l'uomo che
cerca di afferrare la propria ombra, siamo come il cane che cerca di prendere
la propria coda. Non serve a niente correre sempre di più. Dobbiamo fermarci.
Fermandoci, fermando
la mente concettuale, duale e calcolante, non diventiamo dei vuoti beoti, non
perdiamo la nostra identità; ma, al contrario, acquisiamo una più vasta consapevolezza
di essere che ci permette di utilizzare la mente in modo molto più funzionale,
concentrato ed efficace.
Noi perdiamo tempo ed energie pensando e ripensando a cose
inutili, pieni di paure, di ansie e di sogni inconsistenti. Tolti questi, la
mente funziona in grande armonia con le nostre necessità, vedendo molto più
chiaramente e risolvendo meglio i problemi.
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