Un bambino rapito dalla madre e portato
nell’Isis, adesso, dopo anni, ritorna in Italia. Ha quasi dimenticato
l’italiano e la vita precedente – ma qualcosa si ricorda, gli rimane qualche
vago barlume della sua originaria identità.
Anche noi siamo alla ricerca di
un’identità che abbiamo perduto. E come si ricorda qualcosa? Ovviamente
concentrandoci su quelle minime tracce, su quel qualcosa di cui sentiamo la
mancanza. Succede anche quando vediamo una persona ma non ci ricordiamo più
dove l’abbiamo conosciuta; oppure quando vediamo una persona di cui non ci
ricordiamo più il nome.
Che cosa facciamo? Teniamo in mente quel
poco che ci ricordiamo e vi torniamo e ritorniamo sopra.
Qualche volta, nonostante i nostri
sforzi, non ce la facciamo subito. Ma, insistendo e tenendo a mente gli indizi,
un giorno –ah!- ci ricorderemo di tutto.
Tuttavia, per noi che cerchiamo l’identità
originale (quella prima dell’io attuale), l’impresa è più difficile. Perché ciò
che dobbiamo ricordarci non è qualcosa che avevamo in mente e che ci siamo
dimenticati, ma qualcosa che viene nascosta proprio dalla mente. Capito il
problema?
La mente cerca un’identità che essa
stessa, con la sua presenza ingombrante, nasconde. È il mezzo con cui cerchiamo
di ricordare che ci oscura , e ci deforma, l’antica realtà.
Per fortuna ciò che cerchiamo già in
parte ci appartiene; altrimenti nemmeno lo cercheremmo. Dunque qualcosa di
quella primigenia identità è già impresso in noi – se non altro come mancanza.
Se qualcosa ci manca, vuol dire che qualcosa c’era… e c’è. Come direbbe
Heidegger, ciò che cerchiamo ci appartiene essenzialmente.
Il problema è mettere da parte lo
strumento ingombrante con cui cerchiamo - la mente stessa. Questa è la vera
barriera. È come se usassimo un grande telescopio per osservare un piccolo
insetto davanti a noi. È chiaro che la prima cosa da fare sarebbe eliminare l’attrezzo
ingombrante e del tutto inadatto.
Due punti allora: acuire e ripetere il
più possibile la vaga reminiscenza e mettere da parte la mente con le sue
categorie che ci condizionerebbero i risultati della ricerca.
Il ricordo è sempre improvviso. Ma la
ricerca può durare una vita… o più.
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