Nella Bhagavad Gita, un testo basilare
dell’induismo, il cosiddetto “vangelo indù”, c’è un’immagine che esprime alla
perfezione la fase iniziale di ogni processo meditativo: il fatto di ritirarsi
in se stesso. Questo processo viene paragonato a quello di una “tartaruga che
ritrae le membra nel guscio”.
In effetti, per meditare, bisogna staccarsi
dai sensi, che ci collegano al mondo esteriore, e raccogliersi in se stessi. Si
tratta di invertire la direzione della nostra attenzione che di solito è
rivolta all’esteriorità – alle persone, agli oggetti, ai dispositivi
elettronici e ai fatti che ci accadono intorno. Come la tartaruga ritrae le sue
membra nel guscio, così chi medita deve volgere l’attenzione alla propria
interiorità.
In un commento agli Yogasutra di Patanjali,
La scienza dello yoga, J.K. Taimni,
scrive che “tutto lo scopo e il processo dello yoga consistono nel ritrarre la
coscienza dall’esterno verso l’interno, poiché il mistero ultimo della vita è
celato nel cuore stesso, o nel centro, del nostro essere, e potremo trovarlo là
e in nessun altro luogo”.
Quando dunque vi trovate in questa
condizione di spirito, ritiratevi in voi stessi, volgete l’attenzione verso il
vostro centro interiore. Ma ricordatevi anche di lasciar perdere pensieri,
fantasie, immagini, ricordi, ecc., cioè tutta quella vasta produzione mentale
che attira nella nostra interiorità il caos del mondo esterno.
In realtà, se riuscirete a entrare in
questo stato di vuoto interiore, non sarete più ne fuori né dentro, ma nel
centro dell’essere.
Dio è all'interno, noi invece siamo all'esterno; Dio è in noi in casa propria, ma noi siamo in un paese straniero.
RispondiEliminaMeister Eckhart
Anche noi però abbiamo la nostra piccola o grande interiorità, con cui e in cui non essere più in un paese straniero.
EliminaAggiungerei che il paese non è più straniero quando attraverso il percorso interiore ci viene rivelato che il mondo è la creazione della propria coscienza.
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