Ormai un uomo pubblico deve essere un divo televisivo e deve
assoggettarsi alle regole dei social e dei mass media, non importa in quale
campo operi, politico o religioso. Recentemente, Papa Ratzinger, al momento di
dimettersi, confessò due cose: primo, che non ce la faceva più con le forze e,
secondo, che il suo impegno non gli permetteva più un po' di intimità, di
privacy. Ecco il punto. Dalla politica alla religione, per essere dei leader,
bisogna diventare degli uomini di comunicazione, passando da un discorso a una
manifestazione, da un meeting a una cerimonia, e soprattutto bisogna stare
sempre in televisione o sulla Rete.
Ma questa
sovraesposizione mediatica porta a una paradosso: che i leader politici e
religiosi devono diventare grandi attori, per non dire grandi ipocriti, dal
momento che devono recitare in continuazione una parte. Il che porta ad una
grave conseguenza: che per essere eletti a queste cariche bisogna essere, non
bravi politici o uomini di riflessione, ma uomini di spettacolo. E quindi chi
verrà eletto sarà il meno adatto ad affrontare problemi reali: la sua funzione
si ridurrà a rappresentare più che ad essere o a fare.
Non a caso, i nuovi “divi”
di questo mondo sono gli attori: gente che non esiste in se stessa, ma solo in
funzione della parte che deve recitare.
Un esempio tipico di
individui di questo genere fu Papa Woytila, che era istintivamente un attore,
un uomo di spettacolo, che stava volentieri di fronte alle telecamere. Di
conseguenza, era un uomo privo di interiorità e di riflessione. E infatti il
suo papato, al di là dei fasti mediatici, è stato uno dei più dannosi.
Ratzinger in fondo va
rivalutato. Ha saputo riscattarsi come uomo e ha messo in evidenza questa
contraddizione, particolarmente grave per un uomo di religione che dovrebbe
avere un minimo di interiorità. Il nuovo Papa, invece, ritorna ad essere un
uomo di spettacolo, e si capisce che vive di apparizioni e di dichiarazioni, ma
che ha poca sostanza spirituale. Non a caso oggi è su tutti i social. Non dice
nulla di autentico, ma trasmette immagini e slogan stereotipati.
Certo, se siamo
ridotti ad eleggere attori anziché autentici leader, non ci lamentiamo dopo se
non risolvono nessuno dei nostri problemi. Loro ritengono esaurita la loro
funzione quando hanno recitato la loro parte. Non sono interessati alla realtà.
Devono lanciare slogan e parole d’ordine, devono far spettacolo, devono
partecipare a rituali, devono far propaganda. Non sono più uomini autentici,
vivono per le apparenze.
Questa deriva è
facilitata dal fatto che anche la nostra “realtà” è composta da illusioni e
apparenze, da tremolanti fantasmi, tutti più o meno inconsistenti. Quindi vivere
alla superficie, vivere di apparenze e come apparenze è già un dato di fatto ed
è molto facile.
Ma il punto è proprio questo. Si può dire che l’uomo incomincia a
trovare un po’ di autenticità solo quando entra nella propria interiorità e scopre
il gioco delle apparenze, delle opinioni infondate e delle immagini false. È in
quel momento che smaschera l’irrealtà. E trova qualcosa di autentico in sé.
L’uomo smaschera la propria ipocrisia e la propria falsità e si
pone più autenticamene solo quando entra in se stesso e si toglie a poco a poco
i vari travestimenti, le false identità che ha indossato tutta la vita.
Un uomo dovrebbe sempre domandarsi: “Fino a che punto sono un
buffone?” È solo quando si pone questa domanda che incomincia a fondare la propria
autenticità.
Nessun commento:
Posta un commento