mercoledì 25 dicembre 2019

Le infelici identificazioni


Le identificazioni che provocano infelicità sono quelle con la nazione, la famiglia, la religione, il mestiere, la professione, il ruolo, il genere sessuale, ecc. Fino a un certo punto danno un po’ di sapore alla vita, ma oltre un certo limite sono dannose.
Alla fin fine ognuno è ciò che è indipendentemente da queste identificazioni. Se cambio nazione, non sono più ciò che sono? Se cambio religione, se cambio ruolo, se cambio professione, se cambio genere sessuale…. non sono più ciò che sono?
Se avessi un altro nome o un’altra forma non sarei più ciò che sono? È chiaro che tutte queste identificazioni aggiungono qualcosa, ma il nucleo profondo rimane quello che è.
Ma qual è allora la nostra più profonda identità? Questa è una domanda che ci poniamo spesso, anche se non sappiamo rispondere.
In realtà, in tanti momenti non pensiamo affatto alla nostra identità o alle nostre varie identità. Quando ci svegliamo la mattina, ci vuole qualche secondo per ricordarci chi siamo e a che punto eravamo rimasti. Oppure, quando siamo tranquilli, sereni e rilassati, senza desideri particolari, non ci poniamo affatto il problema della nostra identità. Sappiamo di essere e tanto ci basta.
E, quando non ci poniamo questo problema, siamo leggeri e felici. L’identità sociale o psicologica è un pensiero, un peso. Possiamo anche non averla e non ce ne importa niente. Sappiamo di essere, siamo consapevoli di essere, siamo consapevoli. E ci va bene così.
Meno identificazioni ci sovrapponiamo, più siamo felici. Al limite, se siamo solo consapevolezza, siamo beati e non cerchiamo altro.
Togliamoci dunque dalla testa l’idea di essere questo o quello, spogliamoci delle identificazioni-identità come ci togliamo dei vestiti e rimaniamo nudi. La nuda consapevolezza basta e avanza. Non è legata né al corpo né alla mente ed è candidata ad essere ciò che ci sopravvive dopo la morte.


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