venerdì 14 settembre 2018

Upekkha


Nella nostra mentalità primitiva, siamo convinti che ogni sensazione positiva sia da accogliere e possibilmente da prolungare e che ogni sensazione negativa sia respingere. Ma, naturalmente, non ci riusciamo: non riusciamo a prolungare le sensazioni positive e non riusciamo a respingere quelle negative. Come siamo costretti ad assorbire le sensazioni piacevoli, così siamo costretti ad assorbire le sensazioni spiacevoli. In realtà, non abbiamo nessun controllo, nessuna difesa, nessun filtro. Siamo in balia di qualsiasi sensazione, buona o cattiva che sia. Non possiamo scegliere. Siamo porte aperte.
Ma qui si affaccia un’idea che ci fa intravvedere una nuova possibilità. La possibilità di svolgere un lavoro interiore per sviluppare in noi l’equanimità (upekkha). L’equanimità è la capacità di accogliere le sensazioni senza farci travolgere né da quelle positive né da quelle negative. È un’attenzione che non giudica e non ha preferenze.
Certo è difficile da acquisire, perché noi siamo guidati dagli istinti e non abbiamo autocontrollo. Attaccamento e avversione scattano quasi automaticamente. Ma la sfida meditativa è proprio questa. Addestrarsi ad essere equanimi, a uscire dagli estremi contrapposti, a non giudicare negativamente tutte le sensazioni sgradevoli e positivamente tutte le sensazioni gradevoli.
Se il nostro scopo fosse solo quello di moltiplicare e prolungare le sensazioni piacevoli, dovremmo mangiare a crepapelle e drogarci sempre di più. Ma finiremmo per autodistruggerci.
Prendere le distanze dagli estremi è salutare, in tutti i sensi.

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