La
prima delle "quattro nobili verità" del buddhismo è che "tutte
le cose sono impermanenti" e la seconda è che "tutte le cose sono
soggette alla sofferenza". Le cose sono impermanenti perché sono soggette
allo scorrere del tempo, all'invecchiamento, alle malattie e alla
disgregazione; di conseguenza nessuna può sfuggire alla sofferenza. Nessuno
potrebbe contestare queste affermazioni: tutti siamo coscienti che le cose sono
impermanenti e che nessuna può sfuggire alla sofferenza. La vita è un evolversi
e un mutare continuo, e questo non può non produrre dolore.
Tutte le filosofie, tutte le saggezze
sono giunte a questa constatazione.
Ma a questo punto la saggezza si biforca.
Dalla consapevolezza che le cose impermanenti derivano due atteggiamenti
opposti: nel primo, proprio perché sappiamo che niente dura, cerchiamo di
apprezzare e di sfruttare il più possibile le fonti di piacere e di felicità.
Questa è una prima forma di saggezza, che ci porta ad attaccarci ancora di più
alle cose. Nel secondo atteggiamento, invece, cerchiamo di distaccarci da ogni
cosa, anche da quelle che procurano una gioia passeggera. Quale dei due è
quello giusto?
In realtà non c'è contraddizione. Perché
chi rinunciasse a tutto, anche all'amore, alla famiglia e ai beni, sarebbe
comunque soggetto alla sofferenza. Forse soffrirebbe meno acutamente, ma
soffrirebbe comunque e la sua vita sarebbe squallida e vuota.
Una saggezza più profonda ci dice dunque
un'altra cosa. Dobbiamo saper apprezzare e sfruttare le fonti di felicità,
dobbiamo minimizzare le cause di infelicità e dobbiamo essere consapevoli ad
ogni momento che tutto può disgregarsi e finire. Questa consapevolezza ci rende
ancora più sensibili ai beni che ci vengono elargiti, ma ci fa anche capire che
niente è veramente in nostro possesso e che tutto è destinato a sfuggirci di
mano. Si tratta di un atteggiamento che potremmo definire meditativo. Bellezza
e malinconia della vita...Innanzitutto è bene distinguere ciò che è importante
da ciò che non lo è. Un amore è importante; il tifo calcistico è una
stupidaggine. Dunque, se è bene conservare l'amore, è una stupidaggine soffrire
per il tifo calcistico. Ritroviamo la giusta dimensione delle cose.
In secondo luogo, dobbiamo essere
consapevoli che, per quanto quell'amore sia importante, può finire da un
momento all'altro: possiamo innamorarci di un'altra persona, possiamo essere
traditi o abbandonati, possiamo perdere nel corso del tempo quel sentimento, possiamo
perdere la persona, ecc. Questa consapevolezza non ci deve portare alla
rinuncia (dovuta alla paura di soffrire), ma ad una meditazione su quell'amore
- una meditazione in cui si affaccia comunque l'idea del distacco. Il distacco
in fondo non dipende da noi, ma dipende dal corso delle cose.
Distaccarsi è prendere le distanze, è
vedere le cose da punti di vista diversi, è penetrare e prevedere. Che cosa
succederà se la persona amata mi tradirà o mi lascerà? Non potrò più vivere? A
molti succede proprio questo. Ma, se nel frattempo avrò lavorato a meditare,
l'abbandono non mi coglierà impreparato e io avrò scoperto altre ragioni per
vivere, al di là anche di quell'amore.
Applichiamo ora questo tipo di
meditazione al legame affettivo primario: quello con noi stessi. In effetti,
anche il legame con noi stessi è destinato a finire con un distacco. Ma è una
fine o una "liberazione da"?
Nessun commento:
Posta un commento