Se
siamo ammalati, abbiamo l'occasione di contemplare concretamente la sofferenza
- l'ineliminabilità della sofferenza nell'esistenza umana. Abbiamo creduto che
la vita dovesse elargirci tutti i suoi benefici, ma abbiamo scoperto che
accanto ad essi ci sono tanti mali. Ora, mentre espiriamo ed inspiriamo, è
meglio non pensare: "Io soffro" o "io sto male". Pensiamo
piuttosto: "Il dolore non sono io".
Continuiamo fino a capire che,
come l'io è una costruzione inconsistente e alla fine vuota, così lo è il
dolore.
Vorremmo eliminare la sofferenza
lasciando soltanto il piacere. Ma le cose non funzionano così.
Svuotiamoci di ogni nozione di io
(sé, ego). Non è "mio" né il dolore né il piacere. Lasciamoli andare.
Nella mente vuota, non c'è né
dolore né piacere. Si estingue ogni attaccamento all'io e la mio. E che cosa
rimane? Rimane il senza-morte, l'incondizionato, la non-mente, il non-dolore.
Esiste u’elegante espressione “compulsione
all’autoreferenzialità”, La quale vuol dire che noi non possiamo fare a meno di
riferire tutto ad un io/mio: “Io faccio questo, io penso questo, io provo
questo…Questo è mio…”.
Ma in molti casi, questo io è
opinabile – è una struttura artificiale che ci stritola Le cose avvengono, ma poi siamo noi
che le attribuiamo ad un io, chiudendoci dentro.
Finché le esperienze sono
piacevoli non ci pensiamo. Ma quando sono spiacevoli, conviene incominciare a
capire che ci appartengono solo nella misura in cui le attribuiamo al “nostro
io”. Tuttavia c’è un sé o un livello dell’io che non ne è toccato. su questo che dobbiamo concentrarci.
Io non sono questo corpo, io non sono questa mente. Sono altro, sono molto di più… se lo capisco.
Io non sono questo corpo, io non sono questa mente. Sono altro, sono molto di più… se lo capisco.
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