Diceva
Eraclito: “Quando viviamo, l’anima è sepolta in noi ed è morta; quando moriamo
l’anima torna a vivere”.
In effetti,
quando conosciamo certe persone, ci domandiamo: “Ce l’avranno davvero un’anima?
E, se ce l’hanno, perché non si vede? Dove si è nascosta?”
Il problema è
che gli uomini, tutti intenti a vivere, non sospettano neppure di avere
un’anima su cui possono lavorare. E quindi non se ne prendono cura, non la
coltivano, non la sviluppano. La loro anima è come un corpo rachitico.
L’anima è il
Testimone di tutto. Ma noi siamo convinti di essere soltanto un io, un io che
opera in prima persona. L’anima invece è il Testimone silenzioso, che osserva
tutto –che osserva i contorcimenti dell’io. È sempre in noi, è sempre il vero “sé”,
è la “persona prima”.
Tutto ciò che
facciamo attraverso l’io è superficiale e destinato a svanire come neve al
sole. Rimarrà solo quel Testimone, che sarà
quel che ha testimoniato, nel bene e nel male, nella coscienza e nell’incoscienza.
Per coltivare
un simile testimone, bisogna permettergli di affiorare in superficie, togliendogli
tutti quei pesi e e quelle maschere che lo nascondono e lo soffocano. Non ci
vuole molto, più un non fare che un fare, più un togliere che un mettere. Un po’
di silenzio, un po’ di calma, un po’ di pace, molta osservazione e attenzione…
Dobbiamo osservare
o contemplare fino al punto di ritrovate l’Osservatore, l’anima prima o ultima.
Dobbiamo chiederci in ogni momento: “Chi è che osserva? Chi è l’osservatore di
prima o ultima istanza?”
Arriverà un
giorno in cui capiremo, in un istante, che noi
lo siamo.
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