Quando un
attore recita un personaggio, sa benissimo che sta recitando un ruolo e che lui
è qualcun altro. Se non facesse questa distinzione sarebbe un pazzo.
Noi tutti nella
vita recitiamo un ruolo, anzi più ruoli: siamo figli, padri, fratelli, mariti,
professionisti, studenti, insegnanti, giovani, vecchi…
Se fossimo
intelligenti, come gli attori, non dovremmo mai identificarci con i vari ruoli
che andiamo contemporaneamente e successivamente recitando. Questo è l’errore.
Dovremmo dire: questo è l’attore e questo sono io.
Dovremmo dirci:
questa è la parte che recito. Ma io sono un altro. Io sono me stesso.
Questo me stesso non è il personaggio che
recito. Ma allora chi è?
Siamo talmente
immedesimati nei ruoli che non sappiamo nemmeno più rispondere a questa
domanda.
Il me stesso non è il ruolo che interpreto.
Certo, nel ruolo c’è un parte di me. Ma non tutto. Io sono altro.
Il mio vero me, il mio vero io, non si identifica
con nessuno di questi ruoli, neppure con quello dell’individuo che nasce, vive
e muore. Questa è la parte che recito.
Anzi, quando
morirò, smetterò di recitare, dismetterò ogni abito di scena e finalmente potrò
tornare a casa mia ed essere me stesso. Può darsi. Ma può anche darsi che vorrò
continuare a recitare qualche nuova parte, magari quello di un personaggio in paradiso
o all’inferno.
Il fatto è che
devo convincermi prima di questa fondamentale distinzione.
Devo smettere
di identificarmi in personaggi più o meno finti, devo trovare chi sono.
Questo è il
dramma dell’attore. Questo è il compito dell’uomo.
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